Il gran ballo del Transatlantico

Francesca Schianchi

Come quelle vecchie, maestose ville di campagna, che restano chiuse serrate per due anni e poi i padroni di casa finalmente tornano, danno aria alle stanze, spolverano gli antichi lampadari. Sembrava così ieri pomeriggio il Transatlantico della Camera dopo due lunghi anni di pandemia, bastava andarci al mattino per ritrovarlo spettrale e deserto e poi voilà, alle 15 in punto quando parte il trillo della campanella che dà il via alle votazioni il ritorno alla vita: i capannelli, le chiacchiere, il deputato che prende tutti sottobraccio e Matteo Salvini con mascherina tricolore che svicola l’assedio dei giornalisti, «incontri molto positivi». Il gran ballo della democrazia nel suo giorno di festa.

Nella giornata in cui le trattative vere, gli incontri importanti si giocano altrove – a Palazzo Chigi, nel faccia a faccia Draghi- Salvini, o anche a Montecitorio, nei vertici tra leader di partito, ma ai piani di sopra – lì dove invece si riversano a gruppi contingentati gli oltre mille grandi elettori chiamati a imbucare una scheda bianca è una giornata di attesa senza pathos, di impegno senza responsabilità, tante chiacchiere e tutt’al più lo sfizio di giocare nell’urna con qualche nome da lasciare agli atti: Amadeus, Bruno Vespa, Dino Zoff. A colpo d’occhio, sembra quasi di essere tornati a prima della pandemia, non fosse per le mascherine ben calzate da tutti, uno stuolo di Ffp2, quasi tutte bianche, il forzista Elio Vito la indossa rosa (la sera prima su Twitter aveva interrogato i follower: «per la prima votazione, rosa o viola?»), qualcuno ne mette anche due, una sopra l’altra, non si sa mai. La presidenza ha deciso che possono sostare non oltre 550 persone e sono tante, sembrano quasi i vecchi tempi ma poi a ricordare dove siamo c’è il controllo del Green Pass all’ingresso e ogni volta che si accede alla buvette, una piccola fila ordinata per un caffè che viene passato sotto uno schermo di plexiglass come regole anti-pandemia comandano; ci sono le porte-finestre lasciate volutamente spalancate che appena tramonta il sole trasformano l’ambiente in una gigantesca cella frigorifera.

«Era tanto tempo che non venivo qui, è bello vedere il Transatlantico pieno», sospira Luigi Di Maio, là in fondo, vicino alla sala del governo, dove sosta a lungo ed è tutta una sfilata di amici e meno amici ad omaggiarlo, sembra ieri il giovane e inesperto vicepresidente della Camera e ora dispensa suggestioni e consigli dall’alto della sua terza elezione di un capo dello Stato. Sui telefonini dei grandi elettori arrivano i beep delle agenzie e dei whatsapp, «Draghi ha incontrato Salvini», «ora deve vedere Letta», «no ma guarda che incontra anche Conte», ed è tutto un chiedersi cosa vuol dire, dove si sta andando. «Si invitano i deputati della fascia oraria dalle ore 16.27 alle ore 16.30 a prendere posto in Aula», il richiamo al voto sovrasta il volume di analisi e battute.

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