Più Casini per Draghi. Con il ritiro di Berlusconi per il Quirinale è ballottaggio a due

Franco Bechis

La candidatura di Silvio Berlusconi non c’è più. Il Cavaliere ieri è apparso qualche secondo nella riunione in Zoom con ministri e sottosegretarimdi Forza Italia, coordinata da Antonio Tajani e Licia Ronzulli, poi si è eclissato con la scusa di una telefonata importante appena ricevuta, e ha ascoltato a distanza il dibattito fra i suoi senza che loro se ne accorgessero. Alla fine ha fatto leggere il comunicato ufficiale del ritiro dalla corsa al Quirinale, dove pur sostenendo di avere trovato i numeri per la sua elezione, ha scelto il passo indietro per favorire l’unità nazionale sulla scelta del presidente della Repubblica. Nel comunicato Berlusconi però ha escluso l’appoggio alla candidatura di Mario Draghi al Colle: «Sono stato il primo», ha rivendicato, «a volere un governo di Unità Nazionale che raccogliesse le migliori energie del Paese, e che – con il concorso costruttivo anche dell’opposizione – è servito ad avviare un percorso virtuoso che oggi più che mai, alla luce della situazione sanitaria ed economica, deve andare avanti. Per questo considero necessario che il governo Draghi completi la sua opera fino alla fine della legislatura per dare attuazione al PNRR, proseguendo il processo riformatore indispensabile che riguarda il fisco, la giustizia, la burocrazia». È una frase che ha complicato un po’ il vertice successivo del centrodestra avvenuto sempre a distanza con delegazioni ampie guidate da Matteo Salvini e Giorgia Meloni oltre ai leader delle altre forze politiche.

A sollevare il problema di quelle parole finali di Berlusconi che sembrano inchiodare Draghi a palazzo Chigi e assicurare il sostegno della maggioranza fino all’ultimo giorno della legislatura è stato Ignazio La Russa: «Noi siamo fuori dal governo e vogliamo elezioni prima possibile, ovviamente non possiamo dare sostegno a questa linea». Gli alleati hanno replicato che nessuno di loro aveva il potere di modificare le parole di un comunicato di Forza Italia a firma Berlusconi, e il caso si è spento sul nascere salvo poi riaccendersi leggendo alcuni lanci di agenzie con varie ricostruzioni di cui ognuno dei partecipanti accusava l’altro. Nulla di nuovo: i maldipancia nei vertici di coalizione sono da sempre questi, e non si è riusciti ad evitarli manco ieri. Alla fine però tutti d’accordo nell’affidare a Salvini il compito di sentire gli altri leader del centrosinistra cercando alla vigilia della prima votazione ufficiale qualche nome comune (in ogni caso da spendere per le sedute da giovedì in poi quando basteranno 505 voti), da discutere poi in vertici di centrodestra da fare in presenza. Nessuno ammette che siano circolate candidature nei colloqui di ieri, ma c’è chi fa notare che a questo punto avanzarne una interna sarebbe uno sgarbo allo stesso Berlusconi, che anche dopo il ritiro dalla corsa deve restare il candidato di centrodestra con più chances di farcela. Chi allora? Certo anche appoggiare un candidato di chiaro schieramento di centrosinistra è da escludere. Così almeno al momento la corsa sembra essere un ballottaggio su due soli nomi: l’ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini e lo stesso Draghi che non è affatto uscito dall’orizzonte.

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