Quirinale e scelta del Presidente: non è solo politica

di   Sabino Cassese

Una volta l’opinione pubblica si appassionava alla contesa tra Coppi e Bartali. Ora alla gara per assumere la più alta carica della Repubblica. Intanto, il Paese è in pausa e nell’opinione pubblica si affaccia l’idea sbagliata che la politica consista in quella che Tocqueville chiamava la «passion des places», cioè nell’attribuzione di cariche, invece che nel guidare il Paese.

Perché questa volta tanta maggiore attenzione per la scelta del prossimo presidente? I motivi sono due. Molte forze politiche pensano che si possa prendere una decisione a pacchetto: eleggere il presidente, decidere chi governerà, stabilire le sorti del Parlamento. Insomma, una decisione che coinvolga tutti i palazzi del potere, Quirinale, Chigi, Montecitorio, Madama.

Più importante il secondo motivo. Quello attuale è un Parlamento di minoranze, e le minoranze sono al loro interno frammentate. È cruciale, quindi, il ruolo di chi dovrà metter domani insieme tutti i frammenti, di chi — come il regista di un film — farà il montaggio. Basti pensare alla esperienza di questi quattro anni di legislatura, nei quali abbiamo sperimentato tre diverse combinazioni politiche.

I presidenti italiani — i registi delle crisi — hanno dovuto sempre correre ai ripari e sedare conflitti: Leone e Pertini hanno dovuto gestire 8 crisi di governo ciascuno; Segni 3, nei soli due anni della sua presidenza; Einaudi, Gronchi, Cossiga 7; Scalfaro, Ciampi e Napolitano 5. Questo vuol dire che nel settennato presidenziale ciascun capo dello Stato ha dovuto dedicarsi ogni anno a questo compito.

Mai, però, la frammentazione è stata tanto alta come oggi. Il continuo dissenso finisce per prestare al presidente un compito aggiuntivo, una ulteriore forza. Per rendersi conto di questo, basta guardare quel che succede in Germania. Lì hanno una Costituzione che ha la stessa età di quella italiana e un regime parlamentare come quello italiano. Hanno un presidente con una dote di poteri paragonabili a quelli del presidente italiano. Ma hanno anche una norma costituzionale secondo la quale il «Bundestag» può esprimere la sfiducia al Cancelliere federale soltanto nel caso in cui, a maggioranza dei suoi membri, elegga un successore e chieda al Presidente federale di revocare il Cancelliere federale. Il Presidente federale è tenuto ad accogliere la richiesta e a nominare l’eletto. In altre parole, la sfiducia costruttiva, che era stata proposta (e scartata) in Italia prima ancora che in Germania.

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