Draghi a Città della Pieve: la vigilia «serena» lontano dai palazzi romani

di Monica Guerzoni

ROMA Sulle colline della Val di Chiana gli strepiti delle forze politiche arrivano attutiti e si stempera un poco anche l’ansia della vigilia. Mario Draghi si è chiuso per un fine settimana di pausa nel casale di famiglia a Città della Pieve, rendendo plastica la distanza dai «palazzi» e dalle mosse dei leader di partito dopo il ritiro di Silvio Berlusconi. Il messaggio indiretto di Draghi, nelle ore in cui aumentano gli ostacoli sulla strada verso il Quirinale, è che la sua bussola è la Costituzione. Non tocca a lui stringere quel patto di legislatura che dovrebbe consentirgli il «trasloco» nel Palazzo dei Papi, non spetta al premier scegliersi il successore a Palazzo Chigi: Cartabia, Colao, o Franco?

Quella che appare una lontananza olimpica, è in realtà una disposizione d’animo attenta agli eventi e anche operosa. Al telefono con leader e ministri Draghi si mostra «sereno» e si augura che maturi un «orientamento solido» in grado di scongiurare il caos: il collasso della maggioranza di unità nazionale e dell’esecutivo e il baratro del voto anticipato. Se la conduzione delle votazioni per il capo dello Stato sarà ordinata e senza scossoni il governo potrà continuare il viaggio, chiunque salirà sul Colle più alto.

Ovviamente il favorito ha ben chiari i problemi innescati dal suo nome e avverte lo scarso entusiasmo che la sua disponibilità, mai ufficialmente dichiarata, solleva dentro la maggioranza. Enrico Letta è «sparato» sull’ex presidente della Bce, eppure persino dentro al Pd si avvertono mugugni e paure. «Senza Draghi la maggioranza non può reggere – prevede un dem al governo – Sarebbe più saggio andare al voto che tenere in vita un governo destinato a fallire».

Lontano dal «buen retiro» umbro del premier il nervosismo cresce, aumenta nelle segreterie dei partiti il disagio per la freddezza ostentata da Chigi rispetto alle trattative con i leader. Voci critiche alle quali il premier, nelle conversazioni riservate, risponde smentendo la sua presunta indisponibilità a dialogare con i partiti e ad accettare compromessi. Prova ne sia il «metodo Draghi» con cui ritiene di aver aumentato e non diminuito il peso della politica al governo: cabina di regia con i capi delegazione, incontri con i leader e con i capigruppo. Una «dialettica costante» che il premier intende portare avanti, comunque vada a finire. Purché, e qui il tono dei ragionamenti di Draghi si fa più severo, la maggioranza di unità nazionale non si spacchi con un voto di parte, che farebbe precipitare il Paese alle urne e metterebbe a rischio i fondi europei.

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