Caro bollette, gas calmierato alle imprese. Si va verso il raddoppio della produzione dell’Eni

Alessandro Barbera

Dopo giorni di contatti per discutere dell’unica scadenza che appassiona la politica – il voto sul Colle – alle nove di stamattina Mario Draghi riunisce la sua maggioranza per affrontare un problema serissimo per gli italiani: il caro energia.

Ieri il premier ne ha discusso a lungo con il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, salito al piano nobile di Palazzo Chigi con l’intento preciso di terrorizzarlo. «Al Nord ci sono intere filiere che quest’anno pagheranno per l’energia quattro volte quello che pagavano prima della crisi», ha spiegato Bonomi. Acciaio, vetro, carta, cemento, ceramica: c’è chi ritocca i listini, con il rischio di finire fuori mercato, e chi sta riorganizzando i turni per consumare nelle ore in cui l’energia costa meno. Chi non ce la fa, riduce la produzione o fa domanda di cassa integrazione.

Per tamponare la situazione, il presidente degli industriali ha prospettato a Draghi tre soluzioni. La prima, la più rapida: il trasferimento in via preferenziale alle aziende energivore di parte della produzione nazionale delle rinnovabili. Il passaggio avverrebbe ad un prezzo predeterminato da parte del gestore della rete. La seconda: il raddoppio della produzione di gas Eni in Italia da quattro a otto miliardi di metri cubi l’anno. Anche in questo caso l’intervento verrebbe agevolato dalla firma di contratti di cessione dell’energia a prezzi predeterminati. E la terza: una estensione dei benefici fiscali per i contratti energetici delle imprese. Il governo dovrebbe accogliere le prime due richieste, più difficile la terza.

Ieri sera non era ancora chiaro cosa avrebbe trovato spazio nel decreto che verrà approvato oggi. Per la prima volta dall’inizio della pandemia il governo non ha molto a disposizione. Tre, forse quattro miliardi di euro, con i quali garantire i ristori anti Covid per discoteche, turismo, attività sportive e settore degli eventi, il resto per il caro energia. Nei ministeri si dà per scontato un intervento in due tempi, prima e dopo il voto sul Quirinale. Si discute da giorni di una tassa sugli extraprofitti del settore e ad un aumento del deficit. Nessuna delle due soluzioni sarà però varata oggi: ci sono difficoltà a scrivere una norma che non venga tacciata di incostituzionalità, e mancano le condizioni politiche per chiedere a Bruxelles nuove spese dopo una manovra da trenta miliardi.

Insomma, la grana non verrà risolta nemmeno oggi. Bonomi, di fronte ad un Draghi curioso e stupito, ha spiegato di essere scettico su un calo dei prezzi a primavera. Basta dare un’occhiata all’andamento dei cosiddetti futures su gas e petrolio. Il greggio, nonostante i proclami di Greta, resta il termometro di quel che avviene sui mercati: la qualità Brent ieri si è avvicinata a novanta dollari il barile, il Wti ha raggiunto gli 86. Gli analisti dicono che tornerà presto a costare cento dollari il barile, un livello che non si vedeva da dieci anni.

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