Fermare il ballo col diavolo

di Ezio Mauro

Non è un innocuo premio alla carriera concesso a un vecchio protagonista ormai sul viale del tramonto, questa candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, prima e per il momento unica scelta del centrodestra improvvisamente compatto a una settimana dal voto. È al contrario una scelta politica con un significato preciso che rischia – nel caso in cui dovesse realizzarsi – di produrre effetti di lungo periodo sull’intero sistema repubblicano. Quasi trent’anni dopo la “discesa in campo” da Arcore a Roma la trasfigurazione del Cavaliere a Capo dello Stato rappresenta infatti la definitiva prevalenza dell’ideologia sulla storia, che può essere rovesciata, vilipesa o semplicemente ignorata per insediare al vertice del Paese un nuovo esperimento di potere, in lotta non con la sinistra ma con la realtà.


L’immagine del caimano che si trasforma in animale domestico per la grazia di Stato del Quirinale è infatti l’ultimo inganno, il packaging propagandistico che contrabbanda la presidenza come un pensionamento d’onore, senza più armi e munizioni, trasformando il guerriero che ha diviso l’Italia in un mansueto pater familias dell’intera nazione, custode dei Lari e dei Penati di una tradizione condivisa e della loro sacra protezione per tutti, anche i tradizionali avversari, molto spesso in questi anni trasformati in nemici. Certamente Berlusconi, che è prima di tutto un attore interprete di se stesso, saprebbe arricchire le contraddizioni del suo repertorio mimando anche il ruolo del super partes, quando gli conviene. Ma non è questo il punto, perché oggi ciò che conta è il significato della candidatura, il suo nucleo concettuale, dunque la sua portata e la sua ambizione. E tutto questo può essere riassunto in una formula: Berlusconi non viene scelto dal centrodestra e indicato per il Quirinale “nonostante” la sua anomalia, ma “per” questa anomalia intrinseca alla sua figura, dunque insuperabile perché connaturata al personaggio, anzi costitutiva del suo agire pubblico. Talmente intrinseca – un intreccio di conflitto d’interessi, strapotere economico, dismisura mediatica – che ha impedito la trasmissione del comando a un delfino o comunque l’individuazione di un successore, al punto da ipotizzare come unico radicale rimedio la soluzione dinastica, che consentirebbe di consegnare all’erede di famiglia il comando indiviso e l’anomalia, intatta.


È impossibile che leader politici esperti come quelli che guidano il centrodestra non vedano l’irrazionalità della scelta di candidare questa anomalia alla suprema magistratura repubblicana, l’inopportunità di far rappresentare l’Italia dentro il Paese e fuori da un pregiudicato, la singolarità di questa selezione rispetto alle qualità richieste dal ruolo: saggezza, prudenza, decoro, rispetto delle leggi, difesa dell’unità nazionale, scrupolo costituzionale. Il contrasto tra la regola, la tradizione e il nome di Berlusconi è evidente, soprattutto all’estero, tra gli osservatori non sedati dalla propaganda massiccia di questi decenni e dalla deformazione ideologica operata costantemente nel nostro Paese sulla realtà. L’indicazione di Berlusconi è dunque stata fatta con perfetta coscienza di queste riserve e di queste obiezioni. Potremmo aggiungere che quell’indicazione è stata fatta al di là delle convenienze apparenti, immediate del centrodestra, che ha deciso di lanciare un nome evidentemente controverso, imboccando una strada in salita.

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