La mossa che rivela l’impotenza dei partiti

Non si può escludere che l’investitura formale di ieri preluda a uno scarto improvviso e in extremis del «candidato» Berlusconi a favore di una soluzione diversa. Ma la prospettiva che alla fine le Camere siano costrette a orientarsi verso un candidato condiviso, senza stimmate politiche, e garante agli occhi della comunità internazionale, fa affiorare una condizione: che per bilanciare la scelta di una figura «esterna» sia necessaria la formazione anche di un esecutivo forte. Da questo punto di vista, la proposta avanzata nei giorni scorsi dal leader leghista Matteo Salvini e da quello di Iv, Matteo Renzi, è indicativa.

Sebbene liquidata sia dalla sua alleata Giorgia Meloni, sia dal Pd come un puro diversivo, è un indizio. Segnala l’esigenza di cercare la quadratura del cerchio nello schema di un «ritorno della politica», per quanto sgualcita da una crisi tuttora in atto; e di farlo in un anno elettorale, dunque destinato ad accentuare le divisioni. Magari insospettisce che a dirlo sia un leader indicato sul punto di lasciare la coalizione per arginare la competizione a destra. In più, trovare un premier in questo schema è facile solo a dirsi.

Certo, sarebbe grave se si affermasse una sorta di convergenza tra vecchi e nuovi populismi, per archiviare l’ultimo anno. L’esigenza di recuperare protagonismo e ruolo da parte delle formazioni politiche è più che comprensibile. Ma diventa velleitaria e rischiosa se viene declinata non come «ritorno» ma come «rivincita»; e trascurando sia una crisi di legittimazione non ancora del tutto superata, sia i contraccolpi internazionali che le prossime scelte produrranno, inesorabilmente.

CORRIERE.IT

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