Natalità, istruzione e meritocrazia: i tre ingredienti per l’Italia del futuro

Carlo Cottarelli

Nel mezzo di un’emergenza sanitaria che, seppure non comparabile per gravità a quella dell’anno scorso, non è ancora terminata e del delicato passaggio istituzionale dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica, è inevitabile che l’attenzione politica sia indirizzata a questioni di immediata rilevanza, come le decisioni del governo sugli obblighi vaccinali e le trattative per trovare un accordo sul successore di Mattarella.

In questa situazione, parrà strano se mi dilungo su tre problemi irrisolti della nostra economia e della nostra società. Sono problemi che solo in parte vengono affrontati dal Pnrr, ma che più di tanti altri influenzeranno le tendenze di medio termine del nostro Paese. Riguardano la nostra principale ricchezza, le persone.

Tasso di fertilità

Il primo problema riguarda il numero di persone. Poco prima di Natale l’Istat ha certificato il nuovo calo dei nati nel 2020. Il numero medio di figli per donna di cittadinanza italiana è sceso a 1,17, ma cala la natalità anche nelle famiglie con almeno un genitore straniero. Il declino è continuato nel 2021, quando i nati scenderanno sotto le 400.000 unità. L’Istat ha presentato a novembre il quadro demografico per i prossimi decenni: nel 2070 i residenti in Italia sarebbero meno di 48 milioni. Ma già ora stiamo subendo gli effetti di un calo che ha origini lontane.

Stanno ora raggiungendo l’età lavorativa le generazioni nate all’inizio degli Anni 90. Stanno uscendo quelle nate alla fine degli Anni 50. Lo squilibrio è impressionante. Il saldo tra chi è nato 64 anni fa e chi è nato vent’anni fa è intorno alle 350.000 unità all’anno. Questo saldo raggiungerà le 450.000 unità entro il 2029 rimanendo poi su questi livelli per almeno altri 10 anni.

Il problema non è solo la sostenibilità del sistema pensionistico e dei conti pubblici, ma riguarda l’attività produttiva. Si parla tanto della carenza di medici. Molti vanno in pensione e pochi entrano nella professione. Occorre certo aumentare il numero di borse per la formazione dei medici. Ma non mancano solo medici. Mancano, e mancheranno sempre più, anche ingegneri, insegnanti, idraulici, e così via, semplicemente per un fattore demografico. Il problema è stato alleviato in passato dall’aumento del tasso di occupazione rispetto alla metà degli Anni 90 e da un’immigrazione disordinata (quello che abbiamo visto sulle coste italiane negli ultimi anni è tutto tranne che una politica di immigrazione che è finora mancata).

Scarsi sono stati comunque i risultati in termini di aumento del tasso di fertilità. Occorre un piano specifico di medio-lungo termine che affronti il problema del calo tendenziale della forza lavoro in tutte le sue componenti (natalità, partecipazione al mondo del lavoro e immigrazione).

Serve più ricerca

Il secondo problema riguarda la conoscenza a disposizione delle persone. Per raggiungere il livello di spesa in ricerca e sviluppo della Francia, l’Italia avrebbe bisogno da parte pubblica di circa 5 miliardi addizionali annui rispetto al livello attuale (il doppio per raggiungere il livello della Germania).

Il Pnrr prevede maggiori spese per la componente “dalla ricerca all’impresa” ma solo circa 6 miliardi, da qui al 2026, andranno all’aumento della spesa pubblica per la ricerca, una cifra molto inferiore a quella prevista dal piano Amaldi che chiedeva un graduale ma sostanziale avvicinamento delle nostre spese in quest’area a quelle della Germania.

In generale, le risorse previste per i prossimi anni per la pubblica istruzione dovrebbero essere aumentate. Sarà fondamentale anche la riforma dell’istruzione che, seppure descritta in termini molto generici, deve essere approvata entro fine 2022 secondo il Pnrr.

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