Draghi e il segnale al Parlamento sul Quirinale

di Francesco Verderami

Nei primi mesi di governo, quando partecipava ai dibattiti parlamentari, attendeva di sentire quella formula fintamente elogiativa che un pezzo della sua maggioranza gli tributava ogni volta: «Lei si sta muovendo in continuità con l’azione del suo predecessore». Allora sorrideva e sussurrava: «Il solito giochetto di prestigio». Ieri il premier ha voluto confutare una volta per tutte questa tesi e rispondere a quanti nel Palazzo sostengono che, per pensare al Quirinale, abbia smesso di governare. Perciò ogni dato che ha presentato — dal calo dell’incidenza di mortalità per il virus alla ripresa dell’economia — è stato accompagnato dallo stesso inciso: «Al contrario del passato».

E c’è un motivo se è arrivato al punto di sottolineare il modo in cui ha imposto la decisione di riaprire le scuole, se ha ricordato che «anche sulla giustizia» aveva ricercato l’unanimità della sua vasta maggioranza: Draghi ha inteso così rivendicare il suo ruolo e il modo in cui lo esercita, e allo stesso tempo smentire di aver cambiato postura per rendere più agevole il suo cammino verso il Colle. Semmai ha cambiato approccio sul tema rispetto alla conferenza stampa di fine anno, quando — con toni inusuali — volle vedere quale reazione avrebbe suscitato nelle forze politiche. È vero che ieri si è formalmente trincerato dietro un «non posso rispondere», ma è anche vero che ha mandato un chiaro segnale al Parlamento. Lo ha fatto appellandosi «all’unità» e sottolineando come l’Italia abbia «saputo superare altri momenti difficili grazie alla collaborazione tra i cittadini e le istituzioni».

Per il Quirinale, l’ex presidente della Bce resta candidato senza esserlo. Lo sanno i partiti che pure avrebbero in mente altre scelte. Lo sa Berlusconi che poco prima della conferenza stampa del premier ha ribadito di non voler far parte di altri governi se non ci fosse più questo governo. Lo sanno Letta e i parlamentari del Pd, che nelle chat interne riversano la preoccupazione di chi vorrebbe evitare di votare Draghi e il timore di non sapere per chi altro votare. Lo sa Salvini, che vede spaccarsi il pezzo centrista della sua coalizione. Lo sanno Conte e il Movimento, che — per dirla con l’ex Di Battista — «pur essendo la forza di maggioranza relativa non è neppure in grado di esprimere un candidato».

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