Beppino Englaro: “Il nostro Parlamento è disumano, ha paura di perdere voti e potere”

Annalisa Cuzzocrea

Quando hai dovuto lottare contro tutti per compiere la scelta più dolorosa della tua vita, sai cosa significa essere Mario: aver bisogno di mettere fine a una pena senza essere in grado di farlo. Sai come devono sentirsi i genitori di Samantha D’Incà, che hanno da poco ottenuto da un giudice il permesso di staccare la spina alla figlia, in coma da un anno per un banale intervento chirurgico. Sai quel che sa Beppino Englaro, quel che traspare dalla sua voce amorevole quando ricorda «la Eluana», quella ragazza «purosangue» tanto amata. Una voce che si spezza e diventa fil di ferro, mentre dice: «Un Parlamento che non decide sul fine vita è disumano al massimo livello».
Beppino Englaro, la legge sul suicidio assistito è arrivata in aula alla Camera, ma non sappiamo ancora quando ci tornerà. Un termine per gli emendamenti non c’è ancora, un accordo tra le forze politiche nemmeno. Cos’ha pensato davanti a questo stallo che dura da anni?
«Io dico sempre che ci sono voluti 15 anni e 9 mesi, 5750 giorni perché mi fosse riconosciuto un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione. Ho contato le ore a partire dall’incidente, dal 18 gennaio 1992. Chiedevamo, io e Saturnia, solo quel che Eluana avrebbe voluto: che le permettessero di andar via. Ma dal primo colloquio fummo sorpresi: non ne avevamo il diritto, mia figlia non aveva il diritto di scegliere».
Eluana aveva 22 anni il giorno dell’incidente. Due anni dopo, davanti a gravi danni cerebrali, alla frattura di una vertebra cervicale, al coma, lei voleva opporsi alla tracheotomia che serviva a tenerla in vita, ma non le fu permesso.
«Io ero la sua voce. Dovevo essere la sua voce perché lei non era in grado di dire quello che avrebbe scelto per sé. Noi, io e mia moglie, lo sapevamo. Eluana aveva visto come può ridurti la rianimazione un anno prima nel suo amico Alessandro e aveva detto chiaramente che mai avrebbe voluto quello per sé. La sua reazione istintiva – perché Eluana aveva l’istinto di un purosangue – era stata quella di accendere un cero affinché Alessandro morisse. Pensava che quello sbocco fosse peggiore della morte e noi questo lo sapevamo. Lei non aveva il tabù della morte, il suo tabù era la profanazione del corpo. Chi non ha conosciuto questa ragazza non potrà mai concepire che sia esistita. In lei gli aneliti di libertà e dignità erano inesausti».
Lei però non poteva decidere al posto suo. E nel 1994 eravamo lontani dalla legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento varate dal Parlamento nel 2017.
«Immagini come potevo sentirmi io, che la conoscevo e mi sentii dire che non avevano bisogno di alcun consenso. Se lei fosse stata in grado di parlare, avrebbero dovuto chiederlo, il consenso. Ma in quelle condizioni potevano decidere al suo posto. La non morte a qualsiasi condizione è qualcosa di spaventoso. Lo stato vegetativo permanente è uno stato che per lei era peggiore della morte. Ma ci dissero che non c’era niente su cui dialogare, la situazione culturale del Paese era quella, e per quattro anni non abbiamo avuto nessun interlocutore».

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