I morti sul lavoro nel 2021 segnano un nuovo picco: sono mille. Ecco i volti della strage

di Marco Patucchi

Mille. Anzi, oltre mille. Il bollettino del “crimine di pace” dei caduti del lavoro segna un altro tassello che dovrebbe pesare sulla coscienza dell’intera società italiana. Politica, istituzioni, imprese, sindacati. Mimetizzato da quasi due anni di emergenza Covid, il metronomo degli incidenti ha continuato con il suo ritmo inesorabile: tra gennaio e ottobre le denunce all’Inail di decessi sul lavoro hanno superato appunto la soglia dei mille casi. Il dato ufficiale ancora non è stato diffuso e considerando che per il bilancio annuale mancano ancora i numeri di novembre e quelli (futuri) di dicembre, il 2021 naviga ad una velocità di rotta ben al di sopra del 2020 quando i morti sono stati 1280, con la compensazione tra minori casi per lo stop delle attività nel lockdown e aumento di quelli nella sanità. Insomma, una impietosa andatura di oltre 3 decessi al giorno, uno ogni 8 ore.

E se si considerano gli infortuni non mortali, il ritmo è altrettanto impressionante: uno ogni 50 secondi. I dati, però, trasformano vite spezzate in statistica, cercando di misurare l’incommensurabile. Per questo la Spoon River dei morti sul lavoro (che Repubblica racconta quotidianamente sul sito) è un monito, un memento a chi deve intervenire per porre fine ad un’emergenza insopportabile. Il governo, a onor del vero, lo ha fatto: con il decreto che rafforza poteri e dotazioni dell’Ispettorato nazionale del lavoro e inasprisce le sanzioni alle imprese; con la obbligatorietà della Durc, cioè la valutazione di congruità per le aziende edili.

Ma ovviamente non può bastare, perché restano da vincere le resistenze burocratiche che rendono inapplicabili le norme, così come le “gelosie” tra poteri in campo (Ispettorato, Regioni con le Asl, Inail, Inps) che, per dire, non rendono possibile la creazione di una banca dati unica sulla sicurezza del lavoro.

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