L’eroe e il disertore

Augusto Minzolini

A vedere i dati dei contagi che aumentano, le nuove varianti che incutono paura, i mercati che precipitano per il virus e tutto quello che resta da fare per rimettere in piedi l’economia quando siamo ancora sotto le bombe della pandemia, la questione in un Paese normale neppure si porrebbe. Invece, a sentire i bene informati, l’argomento di un trasloco di Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale è ancora all’ordine del giorno. Per Matteo Renzi addirittura più di un leader di partito ci sta pensando su, ben sapendo che un cambio del genere si porterebbe dietro le elezioni anticipate a giugno.

Motivo per cui una riflessione sul tema andrebbe fatta, partendo innanzitutto dalla natura di questo governo, cioè un esecutivo di emergenza, come quelli che hanno gestito la ricostruzione nel dopoguerra, nato dall’impegno di una larga maggioranza con dentro forze antagoniste, per alcuni versi inconciliabili, che si sono sacrificate sull’altare della responsabilità (basta guardare i sondaggi dei partiti populisti, Lega e 5stelle, che hanno deciso di farne parte).

Appunto, la parola chiave è responsabilità. Una parola che mal si concilierebbe con l’immagine di un premier che, sia pure per ambizioni più che legittime, lasciasse il lavoro a metà. Ed è inutile che Draghi ripeta che la situazione è sotto controllo se continua a chiedere responsabilità agli italiani, perché la responsabilità o è di tutti, o è di nessuno. Tanto più che la «variante» Quirinale negli ultimi tempi, con tutto il rispetto, ha già reso meno performante l’azione di governo: là dove forse sarebbe stata necessaria una dose in più di decisionismo (vedi sulla manovra o sul fisco, per parlare degli ultimi capitoli), il premier per non avere problemi in Parlamento si è adagiato sul compromesso.

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