La variante dell’ottusità occidentale nell’era della grande incertezza

Nel caso del Sudafrica, la percentuale di vaccinati con due dosi è inferiore al 24%. Il guaio è che sembra addirittura alta se confrontata con la media del continente. Il Burkina Faso è a zero, l’area dove è nata l’epidemia di Ebola – Sierra Leone, Liberia e Guinea – è ferma attorno all’1-2%. “Questa nuova variante la chiamerei la variante dell’ottusità occidentale nel non dare vaccini all’Africa”, commenta Morrone. “Io sono convinto che questa variante non sia completamente vaccine-escape, ma nella regione del Sudafrica in cui è stata identificata si è registrato un aumento esponenziale dei contagi. E il Sudafrica è un Paese che riesce a sequenziare, pensiamo al resto dell’Africa che non sequenzia…”.

La sveglia del Sudafrica arriva mentre l’Italia, come il resto d’Europa, sta già facendo i conti con uno scenario molto più complesso di quanto non apparisse solo un mese fa. La circolazione del virus tra i vaccinati – che comunque hanno probabilità notevolmente inferiori di finire in ospedale o di morire – ha determinato un’accelerazione sulla terza dose e sulla vaccinazione pediatrica, parallelamente a una stretta sulla minoranza no-vax. Pfizer e BioNTech promettono di essere in grado, se necessario, di riprogettare il loro vaccino aggiornandolo alla nuova variante e spedire i primi lotti entro 100 giorni. Una rassicurazione per chi comprende e ha fiducia nel metodo scientifico; un argomento in più da agitare per chi grida al complotto e vorrebbe che il virus sparisse da sé, ignorando l’impatto devastante che una circolazione incontrollata avrebbe in termini di salute pubblica e numero di morti.

È un tema caro a Giovanni Boniolo, filosofo della scienza e professore all’Università di Ferrara. “La scienza non ha mai avuto certezze riduttive. In tutto il suo percorso storico, è sempre stata il tentativo di andare a capire come funziona il mondo o il corpo umano, ma senza nessuna certezza”, spiega ad HuffPost. “La scienza è il miglior sapere a nostra disposizione e non usarlo sarebbe da sciocchi. Dobbiamo riuscire a convivere con questa condizione di incertezza perché è una costante della storia umana. Adesso la sentiamo di più a causa dell’enfasi talvolta eccessiva dei mezzi di comunicazione, a cominciare dai social, spesso fonte di confusione enorme”.

Il problema, secondo Boniolo, riguarda la salute stessa della nostra democrazia. “Purtroppo, in tv e sui social, siamo circondati da cialtroni che dicono cose di cui non sanno assolutamente nulla, in base a nessuna autorità. I cittadini devono imparare che la democrazia significa sì diritto di tutti di parlare, ma questo non equivale al diritto di dire cialtronate”. Quanto alla filosofia della scienza, “dovrebbe essere una delle pochissime ali della filosofia ad avere il diritto di parlare: come si fa a discettare di pandemia, virus, vaccini senza avere idea di come funziona il metodo scientifico?”.

Se per molti mesi l’invito a “convivere con il virus” è servito più che altro a incoraggiare la ripresa dei consumi e delle attività economiche, forse è arrivato il momento di aggiungere altri significati a questa formula.

Per Morrone, “bisogna avere il coraggio di includere nel dibattito pubblico la complessità del metodo scientifico e delle sfide globali che stiamo vivendo”. Al contrario, “sono stati dati messaggi sbagliati alla popolazione, ad esempio chiudendo gli hub vaccinali e alcuni centri per i tamponi molecolari: si è data la sensazione al Paese che il problema fosse superato. Poi, nell’ultimo mese, si è dovuto aggiustare il tiro: con le terze dosi anticipate, l’accelerazione sui bambini, il ritorno di misure anti-contagio… Bisogna avere la forza di dire che la scienza cambia indirizzi non perché non sta capendo nulla, ma perché capisce ogni giorno qualcosa in più. Senza dimenticare la lezione più importante della pandemia: nessuno di noi è un’isola, nessuno si salva da solo”.

L’impressione è che ci siamo stancati un po’ troppo presto di riflettere su come la pandemia sta cambiando il nostro rapporto con la vita. Ne è convinto Guidalberto Bormolini, monaco, tanatologo e docente dell’Università di Padova, che HuffPost aveva intervistato all’inizio di marzo 2020 su tutti quei morti seppelliti senza un ultimo saluto. “Dopo quasi due anni, continuiamo a non ammettere la nostra vulnerabilità: abbiamo sfoderato un linguaggio da guerra che ha lasciato un impatto – operatori in trincea, martiri, fronte, battaglia, nemico invisibile… – quando invece avremmo bisogno di più parole di cura. La pandemia ci avrebbe dovuto risvegliare a questa vulnerabilità, a una finitudine che ci è sempre appartenuta. Invece la nostra reazione è stata quella di anestetizzarci. Stiamo mettendo tutte le nostre energie su un obiettivo giusto – il contenimento del contagio e la riduzione del numero di morti – ma non lo facciamo con un linguaggio di cura che ci consenta di alzare lo sguardo da noi stessi”.

Da questo punto di vista, è come se la pandemia ci chiedesse uno sguardo più ampio su tutto: le diseguaglianze del mondo, la natura della scienza, l’animo umano. “Abbiamo proposto un modello di eterna salute, efficienza, immortalità. Questo modello è crollato – conclude Bormolini – per cui è chiaro che ci sia anche rabbia. Ma questa rabbia è frutto di una cultura deforme. Ci si può ferire nella vita? Il fatto che la morte faccia parte della vita è stato strappato dalla nostra cultura, ne stiamo pagando il prezzo. Non sappiamo fare la scelta, oggi, di portare oltre il nostro sguardo”. Farlo costa tempo, pazienza, profondità. Ingredienti di una cura di cui tutti abbiamo bisogno.

L’HUFFPOST

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