Lavoro e povertà: il disagio che troppi ignorano (e le parole di Mattarella)



È un’angoscia diffusa, quella di un futuro ad accesso limitato, a cui proprio il presidente Mattarella sta dando contorno e voce: «È un dovere inderogabile delle Istituzioni, a ogni livello, combattere la marginalità dovuta al non lavoro, al lavoro mal retribuito, al lavoro nero, alle forme illegali di reclutamento che sfociano in sfruttamento, quando non addirittura in schiavitù contemporanee inammissibili». Per concludere con una sollecitazione, e il destinatario è inequivocabilmente il governo, a cogliere la grande opportunità offerta dai fondi europei per il nostro Piano di rilancio: «Il lavoro sarà la misura del successo del Pnrr». E andrebbe messa nel conto anche la spinta ad affrontare con vigore e da subito una deriva non secondaria di questa enorme emergenza: le due o tre morti al giorno in fabbriche, campi o cantieri, che ci sfilano davanti da inizio anno senza che si sia ancora attivata una massiccia opera di reale protezione e prevenzione.

Dopo queste preoccupate denunce di Mattarella, dopo parole così sfidanti per chiunque abbia una parte nella gestione del caso Italia, sarebbe stato lecito aspettarsi almeno reazioni di ricevuto allarme. Non ne risultano di rimarchevoli. Anzi sì, una, coincidente con il rischio paventato dal Capo dello Stato. È del primo banchiere nazionale, Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo: «La priorità assoluta è la lotta alla povertà. Nell’ultimo anno la situazione si è ulteriormente aggravata. Immaginiamo cosa comporta avere 5 milioni di poveri che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, a soddisfare bisogni elementari. È indispensabile accelerare sulla crescita, che porta posti di lavoro e dignità». Ancora meglio: una crescita che porti posti di lavoro dignitosi. Insieme al contenimento della quarta ondata del virus, è questa la sfida dal cui esito si misurerà non solo la riuscita della missione del governo Draghi ma la bontà delle scelte in opera per uscire dal tunnel un po’ meglio di come ci siamo entrati. Le risorse ora ci sono, molto dipende dalla volontà di utilizzarle per colmare disparità e marginalità sempre più evidenti, almeno per il Presidente ormai a termine di questo Stato. La domanda giusta non è soltanto chi prenderà il suo posto al Colle, ma chi sarà in grado di raccoglierne l’eredità, compresa la capacità di indirizzo e anche, quando serve, di indignazione.

CORRIERE.IT

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