Il lavoro autonomo che frana, una crisi sottovalutata



Se passiamo ad analizzare i livelli retributivi il quadro non migliora di sicuro. Il 48% degli iscritti alle casse previdenziali degli Ordini professionali ha un reddito inferiore ai 20 mila euro annui. Se nell’immaginario collettivo c’è una barriera tra lavoratori manuali e professionisti, sul versante retributivo questa differenza è stata travolta e il motivo è molto semplice: una quota consistente dei colletti bianchi autonomi fa solo dei lavoretti. Ed è costretto a dar vita a una umiliante concorrenza al ribasso che finisce solo per distruggere valore e destrutturare il mercato. A contribuire negativamente a questa tendenza è quasi tutta la legislazione fiscale in materia di lavoro autonomo che si ostina a incentivare la piccola e piccolissima dimensione. Se non superi una determinata soglia paghi di meno. Purtroppo la complessità dell’economia contemporanea richiede tutt’altro, vuole competenze interprofessionali e di conseguenza studi più organizzati, multidisciplinari. Per compilare un modello 730 o 740 basta il commercialista, ma se si devono affrontare delle ristrutturazioni aziendali c’è bisogno di maneggiare più discipline e di investire nel digitale.

Purtroppo però il mondo politico ha sempre voluto che il terziario italiano restasse piccolo e indifeso e che non maturasse un’economia dei servizi di stampo europeo. Ma anche le associazioni e gli Ordini, preoccupati dall’invasione delle multinazionali, alla fine sono rimasti ancorati a questo presupposto. Oggi invece se vuoi offrire un vero servizio a valore aggiunto e se nel contempo vuoi avere i giusti margini di guadagno la dimensione individuale non è sufficiente. Il singolo è costretto a replicare i costi fissi, non ha economia di scala e non garantisce al cliente il confronto con altri saperi professionali.

Il lavoro indipendente che il legislatore ha in mente e per il quale disegna le aliquote non fa viaggi, non compra software, non paga per consultare banche dati, non si cura della sicurezza digitale. E quindi può solo candidarsi per raccattare dei lavoretti. Per cercare di uscirne forse è arrivato il momento di cambiare paradigma, come si usa dire. Il lavoro autonomo competitivo e remunerativo in molti segmenti di mercato deve associarsi nelle forme e modalità più disparate, ma deve dotarsi di un’organizzazione seppur flessibile e ricominciare a generare valore. Per sé, ma anche per sorreggere lo stanco e asfittico terziario italiano.

CORRIERE.IT

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