È venuta l’ora di una donna al Quirinale

Montesquieu

Il capitolo dell’elezione del nuovo capo dello Stato – o, per maggiore consapevolezza, del successore di Sergio Mattarella – sta giorno dopo giorno perdendo il connotato di una scelta ragionata, attraverso l’incrocio intellettualmente onesto del contenuto attuale dell’incarico con la valutazione dei requisiti per l’idoneità dei vari candidati. Sta succedendo per l’involuzione progressiva della natura stessa dei partiti, mai come oggi soggetti radicalmente di parte. Per il modo settario ed egoistico con il quale da anni più o meno tutti si approcciano alla sterminata quantità di nomine di competenza, o di acquisizione attraverso il dilagare della propria influenza. Si cercano fedeltà, acquiescenza, a scapito della competenza, della lealtà istituzionale, dell’attitudine. Di qui la crisi acuta di efficienza complessiva del Paese, e della sua capacità di competere nel mondo.

Con il tempo, alla scelta partitica di persone fidate e prive di autonomia si è affiancata nella società la richiesta una diversa opzione, quella di genere: la scelta di donne per gli incarichi pubblici. Una donna tra le tante meritevoli, e fin qui sacrificate sull’altare del criterio unico, il potere degli uomini. Un passo gigantesco. Nella versione più estremista, che accompagna spesso queste campagne di forte valore sociale, la scelta di una donna purchessia rappresenta per chi la sostiene comunque un passo verso il progresso. Visione irragionevole, non solo rispetto all’interesse collettivo, ma anche miope verso la sacrosanta campagna che donne e uomini hanno il dovere di condurre nella direzione di una reale parità di genere. Addirittura, una politica spregiudicata può trasformare la scelta di esponenti femminili in uno strumento ulteriore al servizio del potere maschile. Il tempio della parità delle parità, l’articolo 3 della Costituzione, non è l’assillo primario dei partiti.

Un giusto criterio che contemperi i due obiettivi, efficienza e parità di genere, lega la scelta di genere alla puntuale verifica di una sostanziale pari idoneità tra i candidati possibili. A una donna, in aggiunta alla competenza e tutto il resto, è richiesta la capacità di reggere la forza d’urto di un maschilismo che ancora domina la nostra politica, i nostri partiti, la società. Come attesta la furiosa campagna con cui viene urlata a squarciagola la pretesa di dimissioni della ministra dell’Interno. Dietro motivi generici e banali, viene meglio se il bersaglio è una donna. Si badi: da parte dell’unico segretario donna di un partito; e, segnale di squallida cultura istituzionale, del predecessore nell’incarico. Discutibile e discusso predecessore, con ben altri argomenti.

Se è consentita un’opinione personale, abbiamo tifato negli anni per due presidenze femminili, quella di Emma Bonino nel nostro passato, quella di Segolène Royal nella Repubblica francese. Bonino era, quasi quanto il troppo urticante Pannella, l’antidoto al grave ritardo nei diritti, delle donne come dei migranti, come di tutte le diversità, in tempi in cui si chiedeva per il resto assai meno di oggi a un capo dello Stato; Segolène aveva sbaragliato mirabilmente, con la sua forza, la barriera oppositiva del suo partito di uomini, tra cui il marito. Il partito socialista francese.

Oggi, a un buon presidente della nostra Repubblica si richiedono non solo il profilo preliminare della rappresentanza e della rappresentatività, interna e internazionale. Servono altresì profonda, davvero profonda cultura costituzionale e istituzionale; grande esperienza politica, per tenere l’indisciplina dei partiti legata al guinzaglio della Costituzione, dell’unità nazionale, dello stesso interesse nazionale, della presenza nell’ambito europeo; serve il generale godimento di alta considerazione dentro e fuori i confini. Serve, in misura industriale, attitudine alla terzietà vera: non quella di facciata, che coincide con l’indifferenza o il vuoto di idee. La terzietà che ben si sposa con la passione politica, purché coniugata con la buona fede, l’onestà intellettuale, l’orgoglio del ruolo e la lealtà costituzionale. Oltre che con il rispetto per tutte le opzioni politiche sicuramente democratiche.

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