Pier Luigi Bersani: “Caro Pd, serve una nuova Cosa di sinistra e attenti a non bruciare Draghi al Quirinale”

Fabio Martini

ROMA. Dagli anni d’oro della Seconda Repubblica, quegli anni Novanta così ricchi di novità politiche, sono restati sulla breccia soltanto due signori, diversissimi tra loro ma curiosamente nati lo stesso giorno, il 29 settembre: Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani. Tre settimane fa l‘ex segretario del Pd ha compiuto 70 anni e ha annunciato che non si ripresenterà alle elezioni e tuttavia non intende mollare: «Io penso che la politica non si faccia solo in Parlamento…». E infatti in questa intervista a «La Stampa» lancia una proposta operativa ad Enrico Letta per far nascere una nuova Cosa di «sinistra e pluralista» che unisca tutte le forze progressiste, mentre per i prossimi mesi lancia un allarme: non esporre Mario Draghi alla delegittimazione di una bocciatura a voto segreto come candidato presidente: «Occhio ragazzi: non facciamo dei disastri».

Enrico Letta arrivando a definire «trionfale» la vittoria Pd ha pronunciato una frase sibillina: «La gente è più avanti di noi». Lei gli è amico: a cosa allude?
«Credo voglia dire che la destra si può battere e che per continuare a farlo occorra far leva su una spinta di fondo, unitaria che va oltre le geometrie variabili nelle quali la sinistra si ritrova costretta e che raccoglie larga parte dell’elettorato rimasto dei Cinque stelle».

La sinistra italiana è specialista nel perdere il biglietto della lotteria: nel 1993 vinceste, guarda caso, a Roma e Napoli e poi perdeste le Politiche…
«In questi anni c’è stato un bisogno di novità, interpretato da lati diversi, Lega e Cinque stelle. Loro hanno sofferto molto dell’astensione, ma quel bisogno di novità c’è ancora: è sotto pelle. Per questo dico: il centrosinistra investa la sua forza in una nuova offerta politica con un tratto di novità credibile. Sapendo che nelle elezioni politiche non ci sono ballottaggi e si presenteranno decine di milionate in più di elettori».

Lei pensa che l’elettorato incerto possa essere attratto da una delle alchimie organizzative della sinistra italiana?
«Vediamo di capirci. Oggi io invoco con forza quello che chiamo campo progressista. Che è fatto di due cose. Le sinistre plurali che si ricompongono e un accordo con i Cinque stelle».

Ma il nuovo Ulivo lettiano sembra alludere ad un “partitone” e non ad una coalizione larga…
«Le parole mi vanno bene tutte. Sto alla sostanza. L’Ulivo era un processo che prometteva un nuovo partito. Sennò io e Letta non saremmo andati in giro per i Distretti, è chiaro? Se non immaginiamo un percorso verso una cosa unitaria, allora rifacciamo l’Unione. Che però è un’altra cosa. E io credo non serva».

E nel 2007 l’Unione non fece la forza…
«Non la fece! Perché se dobbiamo rappattumare l’Unione, per l’amor di Dio, possiamo farlo. Ma non è un messaggio al Paese. Qui dobbiamo strapparci un po’ la giacca»

Nel Pd sembrano coltivare l’idea di candidarvi, ospiti, nelle loro liste e poi ognuno torna a casa. Un filo di ipocrisia?
«Convengo. Spiego la novità che propongo. Va bene il meccanismo delle Agorà nelle quali il Pd chiama tutte le forze che sono disposte a sentirsi parte di una sinistra plurale e gli dice anche perché: dove vogliamo arrivare e con quale programma fondamentale. Si delinei un percorso. Alla fine ci potrà essere un “partitone” o anche una Federazione. Purché ci si metta in moto».

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