Il voto a Torino e Roma dà il via alla partita del Colle

Federico Geremicca

Comunque finisca, nessuno ipotizza fughe o strappi, perché i ballottaggi di Roma e Torino (più tutti gli altri, naturalmente) sono certo importanti, ma stavolta lo sono quanto lo è – per dire – il primo gran premio della montagna quando devi arrivare fino in cima al Mortirolo: e sai che è solo lassù che si deciderà la corsa…

Lo conferma, del resto, il clima che si è respirato in quest’ultima settimana: i ballottaggi sono finiti in coda all’agenda politica (ed all’interesse degli italiani) oscurati da polemiche ed emergenze vecchie e nuove. L’attenzione dei cittadini è stata calamitata dall’esordio del Green Pass obbligatorio; ed i partiti hanno litigato, piuttosto, su fascismo e democrazia: dividendosi, quelli di maggioranza, su questioni di governo assai delicate e che nulla hanno a che fare col voto di oggi e domani.

Eppure, si tratta di un voto che – sommato ai risultati del primo turno – conserva grande importanza, perché potrebbe prefigurare un orizzonte politico più in movimento e meno scontato di quel che si ipotizzava. Milano, Napoli e Bologna sono già state conquistate da Pd e M5S: se anche a Roma e Torino finisse così (ma basterebbe la Capitale…), per il centrodestra il futuro si farebbe improvvisamente incerto.

Naturalmente, le cose andrebbero (e sarebbero andate) assai diversamente, se non fossimo nel cuore del semestre bianco, durante il quale al Capo dello Stato è impedito di sciogliere le Camere. Fino al 3 febbraio prossimo, dunque, deputati e senatori potranno esser certi di restare dove sono. Ma il punto è che per il 3 febbraio, intanto, bisognerebbe aver eletto un nuovo Presidente: ed è qui che cominciano gli strappi ed i guai. Anzi, i durissimi tornanti che portano alla cima del Mortirolo…

Più che ai ballottaggi ed al loro possibile effetto – addirittura stabilizzante per il governo, come ha dimostrato il primo turno – l’attenzione dei partiti, insomma, sembra già rivolta a quella cima. Solo che – ennesima anomalia in questi mesi straordinariamente anomali – nemmeno il traguardo sembra essere lo stesso per tutti. Alcuni, infatti, ritengono che sia l’elezione del Presidente della Repubblica il passaggio politico più importante (Pd e Cinque stelle, per dire); altri, invece, (Lega e Fratelli d’Italia) hanno come obiettivo principale quello di portare il Paese a nuove elezioni già nella primavera del 2022.

Una scadenza naturale (quella del Quirinale) da incrociare e armonizzare, insomma, con una scadenza anticipata (quella delle due Camere): ma la prima sembra indissolubilmente legata alla seconda, e viceversa. Un labirinto: nel quale si rincorrono – o si sfuggono – Sergio Mattarella e Mario Draghi, inseguiti, pressati e supplicati da pletore di consiglieri e ambasciatori. Da qui alla prima seduta delle Camere riunite, dovrebbero confrontarsi due ipotesi totalmente alternative: il “congelamento” dei due Presidenti nelle cariche che ricoprono e una qualche soluzione diversa (la più ipotizzata è l’elezione di Draghi al Quirinale, seguita da elezioni anticipate) che però appare – se possibile – perfino più complicata della prima.

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