Lo specchio appannato della democrazia

di Ezio Mauro

La democrazia come garanzia di pace e sicurezza. E la libera informazione come garanzia di democrazia, anzi sua precondizione fondamentale e necessaria. Da oggi questo principio è iscritto nella carta del Nobel, con la decisione del comitato norvegese del premio di assegnare il riconoscimento annuale a due giornalisti perseguitati dal potere, Dmitrij Muratov, direttore della Novaja Gazeta di Mosca, il giornale d’inchieste di Anna Politkovskaja, la cronista uccisa nel 2006, e Maria Ressa, fondatrice del sito Rappler, che da anni indaga sugli abusi del presidente filippino Rodrigo Duterte nella sua sanguinosa guerra alla droga, subendo la rappresaglia continua del potere tra arresti, indagini giudiziarie, minacce di morte e messaggi con annunci di violenze e stupro. Per questo il Nobel è certo la testimonianza davanti al mondo, come dice la motivazione, dell’impegno dei premiati “per salvaguardare la libertà di espressione”, ma è anche un segnale d’allarme, per chi vuole intenderlo, sulle difficili condizioni in cui si gioca l’eterna partita tra l’informazione e il potere, e non soltanto nei regimi dittatoriali o nei sistemi neo-autoritari, dov’è in corso l’ultima metamorfosi della democrazia: la questione investe anche l’Occidente, chiama in causa anche noi che non siamo immuni o vaccinati per sempre.


La frontiera della libertà è in continuo mutamento sotto i nostri occhi, perché il suo perimetro è frutto di piccoli e grandi spostamenti costanti nel rapporto tra la classe di comando e la popolazione, dovuti ai rapporti di forza, alla sensibilità collettiva, alla possibilità di reazione, agli interessi in campo, alla capacità del sistema di governo di convincere o in qualche caso di decidere aggirando il consenso. Oggi la formula universale di tutela della libertà – la democrazia dei diritti e delle istituzioni – non è attaccata frontalmente, come negli Anni Venti del secolo scorso, ma soffre di una sorta di malattia autoimmune, con due patologie. La prima è la sua difficoltà a mantenere le promesse di cui è garante, come se la sua realizzazione concreta nella pratica di ogni giorno non riuscisse ad essere all’altezza dei suoi principi ispiratori, col risultato di un deperimento organico, con una debolezza evidente nell’efficacia e nell’efficienza quotidiana. La seconda è la strategia esplicita dei gerarchi delle democrature, i sistemi neo-autoritari, che puntano dichiaratamente a separare la forma della democrazia dalla sua sostanza. La sovrastruttura, cioè l’impianto formale e istituzionale, può essere conservata: purché venga svuotata del suo significato profondo e dei meccanismi che lo alimentano e lo riproducono, sostituiti da un nuovo sistema di regolamentazione del potere. L’obiettivo è esplicito e punta a liberare il leader investito del consenso popolare da qualsiasi condizionamento democratico, da ogni bilanciamento costituzionale, da tutti i tipi di controllo: il controllo di legalità della magistratura, il controllo di legittimità della Corte costituzionale, il controllo politico del parlamento e il controllo nell’esercizio del potere legittimo da parte dell’informazione.

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