Perché ogni anno finisce in discarica un miliardo e mezzo di tonnellate di cibo prodotto

Giulia D’aleo

Mentre quasi 800 milioni di persone nel mondo continuano a morire di fame, circa un terzo del cibo annualmente prodotto finisce in discariche. A sei anni dal 2015, quando i governi dei 193 Paesi membri dell’Onu avevano sottoscritto l’«Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile», i risultati raggiunti sembrano ancora insufficienti a garantire a breve un consumo e una produzione alimentare sostenibili, come previsto in uno dei 17 punti definiti dall’agenda. 

Così, dopo la prima celebrazione inaugurale dello scorso anno, la nuova Giornata internazionale della consapevolezza sugli sprechi e la perdita alimentare del 29 settembre assume un ruolo ancora più significativo, ponendosi l’obiettivo di sensibilizzare a un necessario e radicale cambiamento che, tramite piccole abitudini quotidiane e grandi azioni globali, contribuisca a limitare l’impatto che gli sprechi alimentari hanno sull’ambiente e sulla vita della persone. 

Con un numero di donne, uomini e bambini denutriti in continua crescita – si stima che nel 2020 fossero 768 milioni di persone – limitare gli sprechi deve essere un compito sia di settori pubblici, nazionali e locali, che dei privati, inclusi i singoli cittadini. Mentre nel 2019, prima della pandemia, i soggetti con livelli di nutrizione carenti rappresentavano l’8,9% della popolazione mondiale, in un solo anno si è arrivati al 9,4%, un aumento di un punto percentuale e mezzo. Dopo un calo costante registrato per decenni, dal 2014 in poi la tendenza è evidentemente quella di un aumento inesorabile, con un incremento, oltre che nel tasso percentuale a livello globale, anche nel numero assoluto delle persone denutrite, a causa dell’incremento demografico. L’Africa rimane la regione più colpita, seguita dall’Asia e dall’America Latina.

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A ciò si aggiunge il fatto che lo spreco annuale di cibo – circa 1,3 miliardi tonnellate – è una tra le prime cause di inquinamento nel mondo, responsabile dell’emissione di circa 4,4 miliardi di tonnellate di gas serra nell’atmosfera, dovute alla produzione e allo smaltimento degli avanzi nelle discariche, e di un consumo di acqua pari a 170 miliardi di metri cubi. 

Secondo un rapporto dell’Onu, la perdita annua del 17% del prodotto alimentare complessivo porta con sè anche una perdita di tutte le risorse utilizzate per produrlo, inclusi acqua, terra, energia, lavoro e capitale. La riduzione degli sprechi alimentari può contribuire quindi in modo più che significativo alla riduzione delle emissioni di gas serra, della pressione sul suolo e sulle risorse idriche. Come riportato da Project Drawdown, se lo spreco alimentare venisse ridotto del 50% entro il 2100, si potrebbe rimanere nell’obiettivo di un aumento massimo di 2°C, considerato indispensabile a evitare gli effetti più allarmanti legati all’innalzamento delle temperature.

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