Italia sommersa dai referendum. L’ondata social che può travolgere il Parlamento

«Il totale silenzio dei capi dei grandi partiti sulla cannabis e sull’eutanasia – spiega Marco Cappato – è un segnale preoccupante. Non tanto per le consultazioni popolari, quanto per lo stato di salute della nostra democrazia. Ormai sono sempre più autoreferenziali, ai margini, costretti a fare il tifo pro e contro le decisioni di Draghi». E i referendum, sostiene Elio Vito, Fi, «sono la risposta al cattivo funzionamento delle Camere».

Adesso bisognerà recuperare il contatto con il mondo reale. Non sarà facile, prevede Simone Baldelli, Forza Italia. «Saremo obbligati a trovare un accordo per sciogliere i nodi del sistema, altrimenti ci troveremo sempre a rincorrere le scelte fatte dai cittadini». Servirà pure una legge sulla firma digitale, dice Matteo Renzi. «Non può passare tutto fuori dalle Camere, oppure il maître à penser diventa Fedez». I democratici Ceccanti e Parrini propongono di alzare a 800 mila il numero delle firme perché con spid, banche dati e associazioni tipo change.Org il mezzo milione si raggiunge in un attimo. I Cinque Stelle vogliono invece sviluppare il referendum propositivo, che per Sabino Cassese «e un tradimento della Carta, la politica non vive solo online».

Un altro costituzionalista, Michele Ainis, dice «no a depotenziamenti dei referendum, non possiamo mica metterci un tappo». E Francesco Clementi invita a considerarla un’opportunità. «Si tratta di uno strumento previsto per migliorare il dialogo tra il Palazzo e i cittadini e sta alla capacità di Camera e Senato di maneggiarlo. Si delegittima il Parlamento? Dipende dai parlamentari che lo abitano». Quasi mille: molti hanno cambiato casacca, una buona metà non tornerà.

IL GIORNALE

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