Frejus, l’impresa del secolo: mai nessuno aveva osato bucare una montagna
Signori, l’impresa che vi proponiamo, non vale il celarlo, è impresa gigantesca; la sua esecuzione dovrà però riuscire a gloria e vantaggio del Paese. Le grandi imprese non si compiono, le immense difficoltà non si vincono che ad una condizione, ed è che coloro cui è dato di condurre queste opere a buon fine abbiano una dede viva, assoluta nella loro riuscita: Se questa fede non esiste, non bisogna accingersi a grandi cose né in politica, né in industria. […] Io mi lusingo, signori, che voi dividerete questa nostra fiducia. Io spero che darete un voto deciso. […] Io nutro ferma fiducia che voi coronerete la vostra opera colla più grande di tutte le imprese moderne, deliberando il perforamento del Moncenisio.
Una volta passata alla Camera Subalpina e al Senato del Regno con un’ampia maggioranza, la legge viene promulgata da re Vittorio Emanuele II il 15 agosto 1857. Appena due settimane dopo inizia lo scavo. Fu sempre Cavour a trovare una soluzione politica quando, a un certo punto, ci si ritrovò la montagna divisa a metà: una parte all’Italia, un’altra alla Francia. Nel pieno dello scavo, infatti, cambiò l’aspetto geopolitico del territorio interessato dalla perforazione del tunnel. Nel 1857 ancora non era previsto che la Savoia, dopo tre anni, sarebbe passata alla Francia. Il tunnel veniva scavato per trovarsi interamente nei territori del Regno di Sardegna. Con il Trattato di Torino, nel 1860, la Savoia (e la contea di Nizza) divengono territorio francese. Cavour risolse questo problema inserendo una clausola nel Trattato di Torino, riservando al governo italiano il diritto di completare il traforo. In questo modo è stato possibile permettere ai lavori di non interrompersi.
Mostri, draghi e fiumi: le paure per lo scavo
Quando i piemontesi iniziano i lavori, il 30 agosto 1857, tutta
l’Europa guarda al Piemonte con ammirazione, ma anche con critica e
sospetto. Nessuno crede possibile l’impresa, proprio perché mai tentata
prima. Con le tecnologie esistenti gli inglesi – a cui come noto piace
molto scommettere – puntavano a uno scavo stimato in 40 anni di lavoro e
a una perdita economica colossale. Tredici i chilometri di dura roccia
da frantumare, con mille incognite. Ma anche tante paure. Nessuno aveva
mai osato bucare una montagna tanto in profondità C’era chi era convinto
di trovare fiumi impetuosi che avrebbero distrutto tutto. Chi,
nell’ignoto della roccia, pensava che potesse nascondersi un mostro,
magari un drago, che sarebbe uscito dalle viscere della montagna.
In
realtà venne trovata unicamente qualche sorgente d’acqua, ma di certo
non fiumi impetuosi, mentre sul lato savoiardo i lavori incontrarono un
banco di durissimo quarzo cristallino che rallentò le operazioni
rispetto al lato piemontese. Ma niente di sconvolgente.
Intanto gli
inglesi, che ancora erano convinti che ci sarebbero voluti decenni per
la realizzazione del tunnel, progettavano una ferrovia di montagna per
superare il colle del Moncenisio. Realizzata con il metodo Fell, il
progetto fallisce per motivi economici: l’apertura del tunnel
decisamente in anticipo rispetto ai tempi previsti rende l’operazione
non conveniente, anche per le difficoltà incontrate durante la sua
attività.
L’inventore Sommellier e la sua perforatrice ad aria compressa
A stravolgere nella tecnica di perforazione fu l’intuizione
dell’ingegnere savoiardo Germain Sommellier. Perfeziona la scavatrice
realizzando – al termine di innumerevoli tentativi – una perforatrice
azionata da aria compressa. Lo scavo vero e proprio con l’utilizzo di
questa nuova macchina avviene a partire dal 1862. Per otto anni, senza
sosta, lo scavo procede alla media di 690 metri all’anno dal lato di
Bardonecchia e di 530 metri all’anno dalla parte di Modane, utilizzando
un milione di kg di polvere in totale. Negli ultimi anni verrà anche
utilizzata la dinamite prodotta da Alfred Nobel nel dinamitificio di
Avigliana, all’imbocco della Val Susa.
Il completamento dello scavo
viene portato avanti, oltre che da Germain Sommeiller, anche da Severino
Grattoni (di Voghera) e da Sebastiano Grandis (di Nizza), progettisti e
direttori dei lavori dello scavo.
Risse, colera ed esplosioni: i 48 che persero la vita nel tunnel
Nei tredici anni di attività del cantiere si verificarono un totale di
48 morti, mai identificati e mai ricordati. Una cifra vista con gli
occhi di oggi elevata, ma contenuta se paragonata ai 177 morti ufficiali
contabilizzati nei dieci anni di attività del cantiere del tunnel del
Gottardo, in Svizzera. Dei 48 morti del Fréjus, inoltre, ben otto furono
dovuti a risse, uno a un suicidio ed altri quattro
all’esplosione, probabilmente dolosa, della polveriera di Fourneaux,
dal lato di Modane. Il killer maggiore rimane tuttavia l’epidemia di
colera scoppiata sul lato italiano nel 1865, che uccise 18
operai e fece altre 60 vittime tra gli abitanti di Bardonecchia.
Le morti dovute direttamente ad incidenti sul lavoro furono
quindi in media meno di due all’anno, un numero oggettivamente molto
basso considerando il livello tecnologico dell’epoca.
La caduta dell’ultimo diaframma
In ogni
scavo di tunnel che si rispetti, il momento più emozionante è quando i
due rami di escavazione si incontrano, ovvero quando cade l’ultimo
diaframma. Per il Frejus questo momento avviene il 26 dicembre 1870. E’
una data importante anche da un punto di vista politico, perché il
giovane Regno d’Italia ha conquistato Roma il precedente 20 settembre, e
lo stesso re Vittorio Emanuele II entra nella nuova capitale quattro
giorni più tardi. L’emozione è molto forte, perché l’«errore» tra i due
tunnel è ridotto al minimo: appena 60 cm in altezza e 40 cm in
direzione. Segno della precisione dei calcoli e della gestione dei tre
ingegneri protagonisti.
I lavori continueranno ancora nove mesi, per allestire la galleria, metterla in sicurezza e posare i binari.
Il primo treno e i festeggiamenti a Torino: 4 giorni di baldoria
La mattina del 17 settembre 1871 il primo treno parte da Torino, ferma a
Bardonecchia e arriva a Modane impiegando 20 minuti per percorrere i 13
km di galleria. Al ritorno a Bardonecchia si festeggia in una
tensostruttura appositamente allestita all’arrivo del tunnel.
Il
grosso dei festeggiamenti si terranno a Torino la sera stessa. Il viale
del Re, oggi corso Vittorio Emanuele II , verrà trasformato in
un’immensa riproduzione del tunnel, impiegando migliaia di lampadine.
Sarà uno spettacolo di enorme impatto, con le vie e le piazze principali
della città trasformate in un palco per spettacoli e festeggiamenti,
con migliaia di persone che giungono da tutta Italia e tutta Europa.
Torino da quel giorno acquista una centralità di collegamenti tra
l’Italia e l’Europa dopo aver perso il ruolo di capitale d’Italia sette
anni prima.
Ai festeggiamenti mancano Cavour, morto nel 1861, e
Sommellier, scomparso appena tre mesi prima, senza poter vedere il primo
treno transitare (ma assiste al completamento del tunnel). Il 18
settembre 1871 Torino inaugurerà il monumento (realizzato da Odoardo
Tabacchi) a Pietro Paleocapa nell’omonima piazza, di fronte alla
stazione di Porta Nuova, tuttora esistente. Paleocapa (morto due anni
prima) fu tra i politici più impegnati per migliorare l’assetto della
rete ferroviaria del Regno e, quindi, tra i fautori proprio del Traforo
del Frejus. A Sommellier Torino dedicherà un corso, proprio vicino alla
stazione di Porta Nuova, e un istituto tecnico tra i più famosi della
città, ancora oggi esistente a fianco del Politecnico.
Le curiosità e gli eventi per i 150 anni
Nella sua storia il Tunnel è rimasto chiuso solamente durante la
Seconda guerra mondiale, con tre momenti chiave: alla dichiarazione di
guerra del 1940, dopo l’8 settembre 1943, all’Armistizio, e ancora nel
settembre 1944, quando i tedeschi si ritirano a Bardonecchia.
Il
monumento di piazza Statuto, recentemente addobbato artisticamente con i
fiori, non commemora i caduti, come tutti pensano, ma la vittoria del
genio alato della scienza che vince i titani della montagna, ovvero .
Viene inaugurato il 27 ottobre 1879. Il concetto del genio alato della
scienza è stato di ispirazione per la creazione, pochi anni dopo, del
“Gran Ballo Excelsior”, uno spettacolo che inneggiava al trionfo della
scienza e della tecnologia, e dove uno dei protagonisti è proprio il
completamento del Traforo del Frejus.
Fino al 1980 a metà tunnel
esisteva una stazione sotterranea per lo scambio dei binari azionata
manualmente da un ferroviere. Ogni mattina percorreva a bici 6 km il
tunnel con uno speciale manubrio dimezzato, per poter pedalare senza
toccare il tunnel, e ritornava la sera a casa allo stesso modo.
Al Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, fino al 1° novembre, rimarranno esposte le xilografie originali del traforo del Frejus collezionate da Telt (Tunnel Euralpin Lyon-Turin). A Campiglia Cervo, Rosazza e a San Giovanni d’Andorno, nel biellese, fino al 26 settembre sarà visitabile la mostra (divisa su tre sedi espositive) «1871-2021. I valit al Frejus», a raccontare le testimonianze della popolazione della Valle del Cervo impiegata come operai allo scavo del tunnel del Frejus.
LA STAMPA
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