Il partito periferico che assilla Salvini

Il tramonto del berlusconismo, che non solo ha lasciato la Lega orfana di un partner nazionale, ma ha trascinato con sé anche la leadership storica del partito. E la sensazione, con la crisi del debito sovrano e la nascita del governo Monti, che l’Italia intera fosse ormai diventata una periferia politica d’Europa, con conseguenze assai severe pure sul terreno economico. Fin troppo naturale, allora, la scelta di Salvini di mettersi in proprio su scala nazionale, trasformando la Lega da rappresentante della periferia settentrionale d’Italia a rappresentante della periferia meridionale d’Europa.

Con la pandemia, il centro dell’Europa ha steso una mano tempestiva verso l’Italia. Meno poderosa di quanto spesso non si dica, ma tutt’altro che irrilevante. Le regioni padane – prima periferia economica d’Europa e politica d’Italia; poi periferia economica d’Europa al governo in Italia; poi periferia economica e politica d’Europa insieme all’Italia – si sono trasformate allora in una periferia economica d’Europa non più periferica politicamente. Salvini ha preso atto della novità e ha portato la Lega al governo con Draghi. Al contempo, però, non ha potuto o saputo abbandonare del tutto la strategia «europeriferica» e nazionale che aveva seguito fino a quel momento.

Per tre ragioni, mi pare. Innanzitutto, perché non c’è più un partner nazionale che consenta alla Lega di tornare a essere un partito a trazione prevalentemente settentrionale. In prospettiva ci sarebbe un partner geograficamente complementare, Fratelli d’Italia, ma oggi è un concorrente col quale devono ancora essere regolati i rapporti di forza. In secondo luogo, perché con Salvini la Lega ha raccolto tanti voti anche dalle periferie non geografiche, ma culturali e sociali: voti irritati, diffidenti, difficili da conquistare e da tenere. Voti che forse cominceranno ad ammorbidirsi se e quando la rinnovata centralità politica dell’Italia comincerà ad avere degli effetti concreti sulle loro vite, ma difficilmente s’accontenteranno di promesse e annunci. Infine, perché quella rinnovata centralità politica non è affatto un’acquisizione definitiva.

L’oscillare di Salvini non è irragionevole, insomma. Tenere insieme periferie così diverse, d’altra parte, resta un’operazione assai difficile. Quanto difficile, cominceremo a vederlo presto con le elezioni amministrative.

LA STAMPA

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