Il partito periferico che assilla Salvini

Giovanni Orsina

I fenomeni politici cui siamo soliti far riferimento con l’etichetta onnicomprensiva lorda di «populismo» hanno in genere molto a che vedere con la perifericità. Se al di sotto dell’etichetta comune quei fenomeni sono in realtà assai differenti l’una dall’altra, è perché si può essere periferici in tanti modi. Lo si può essere perché si vive in un paese geograficamente marginale rispetto a quello che Raffaele La Capria ha chiamato il «gulf-stream della Storia», i luoghi dove sgorga la modernità. Ma lo si può essere pure perché si vive sì in un paese che in quel gulf-stream ci sguazza, ma in regioni isolate e depresse, in aree rurali o nei piccoli centri, nei sobborghi degradati delle metropoli. Lo si può essere non geograficamente ma socialmente, per povertà materiale. Lo si può essere non socialmente ma culturalmente, per povertà cognitiva.

La più antica forza populista italiana, la Lega, è sempre stata un partito della periferia. Se nel corso della sua storia ha cambiato pelle e oggi appare incerta fra due identità possibili, allora, dev’essere proprio perché ci sono tanti modi di esser periferici. E, in concreto, perché l’Italia settentrionale lo è almeno in due modi: da un lato si sente periferia politica d’Italia, dall’altro è periferia economica (benestante e integrata) d’Europa.

La Lega ha preso forma alla fine degli anni Ottanta anche perché l’esser periferia politica italiana delle regioni padane era entrato in conflitto con il loro esser periferia economica d’Europa, perché «Roma ladrona» minava la competitività del Nord. Già allora, d’altra parte, Umberto Bossi dovette affrontare il problema che sempre si pone a una periferia, per quanto grande e ricca, che si mobiliti politicamente: i giochi politici si fanno al centro. Anche se ci mise qualche tempo a rassegnarsi alla sua buona sorte, il Senatùr fu fortunato allora a trovare sulla sua strada Berlusconi, che guardava pure lui la Penisola dalla Lombardia ma sapeva prender voti anche al Sud, e grazie al quale la Lega poté diventare una forza di governo e l’Italia settentrionale smettere di essere una periferia politica. La svolta di Matteo Salvini, che ha cominciato a prendere forma alla fine del 2013, nasce dall’intersezione fra due linee di cambiamento.

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