Draghi stringe sul fisco, la riforma approda in Consiglio dei ministri

Il premier Mario Draghi con il ministro Daniele Franco
Il premier Mario Draghi con il ministro Daniele Franco

ALESSANDRO BARBERA

ROMA. Difficile definirla già una riforma compiuta. Le distanze fra i partiti sono ancora troppe perché ci si arrivi in tempi rapidi. Mario Draghi vuol comunque provarci. L’aveva promessa e intende rispettare l’impegno: entro la fine della settimana, salvo veti, porterà in Consiglio dei ministri la bozza di delega fiscale. Il punto di partenza sarà l’indagine conoscitiva e il testo votato all’unanimità dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato in giugno. Allargamento della no tax area, superamento dell’Irap, semplificazione degli scaglioni Irpef, taglio dell’aliquota concentrato nella fascia di redditi fra i 28 e 55mila euro, oggi costretta a pagare il 38 per cento. Di cosa far confluire nella delega di quel testo si è discusso a lungo ieri mattina in un vertice a Palazzo Chigi. C’erano fra gli altri con Draghi il ministro del Tesoro Dainele Franco, il consigliere economico Francesco Giavazzi, il sottosegretario Roberto Garofoli. Spiega la ministra Maria Stella Gelmini, Forza Italia: «Abbiamo trovato un accordo su alcuni punti». Non sulla flat tax, «che ha una caratterizzazione politica e mancano le condizioni politiche per portarla avanti», ma ad esempio «l’abbassamento dell’Irpef sul ceto medio» o «la riduzione se non l’abolizione dell’Irap» Questi sono «punti condivisi da tutti i partiti». Una fonte di governo presente al vertice conferma: «Sarà un testo abbastanza generico, ma utile al dibattito in Parlamento».

Vale qui la pena spiegare il complesso iter di approvazione di una legge delega: il governo presenta un testo, lo sottopone al Parlamento, il quale a sua volta dà mandato al governo di adottare successivi decreti legislativi. Se le condizioni politiche lo permettessero, la strada migliore per approvare una riforma organica del fisco che manca dai tempi della legge Visentini: fra meno di un mese – il 9 ottobre – compie giusto cinquant’anni. «La riforma del fisco la faremo quando andremo al governo noi», diceva qualche giorno fa Matteo Salvini. Anche questa volta il premier ha fatto finta di non sentire, e ha deciso di tirare dritto con la sua agenda. Difficile fare previsioni su cosa produrrà effettivamente la delega, che in ogni caso entrerà in vigore nel 2023. Prima della volontà politica di una maggioranza troppo larga, c’è da capire come finanziarla. A bilancio ci sono quasi tre miliardi, al momento sufficienti a finanziare un intervento parzialissimo. Per fare di più, ad esempio ridurre le aliquote sul ceto medio, occorre finanziarla in deficit o viceversa aumentare il gettito di altre voci. Una di quelle possibili, invocata a sinistra, è la revisione delle rendite catastali, spesso vecchie di decenni e sperequate nelle città. Ma la Lega ha già detto no, e così il progetto è stato accantonato per l’ennesima volta.

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