Ma a Kabul un barlume di democrazia c’è e in Occidente un po’ meno

Dopo l’attacco a New York di vent’anni fa tutti dicemmo nulla sarà più come prima. A parte l’Afghanistan, dice stamattina Ellekappa in una vignetta di impareggiabile sintesi. Per disarmante cecità, o forse solo per annebbiante impotenza, soltanto le istituzioni occidentali non se ne rendono conto. Continuano a confidare in una resipiscenza dei talebani, al punto di indugiare nel surreale alla composizione del nuovo governo di Kabul: non è inclusivo e non c’è neanche una donna, ha detto il segretario di Stato americano Anthony Blinken. Inclusivo, questo è l’aggettivo che usa, come se stesse commentando la struttura del collegio dei docenti di Princeton. Non è né inclusivo né rappresentativo, aggiunge l’Unione europea per mezzo di un comunicato collegiale, non solo il contenuto ma pure il mezzo sono ordinariamente lunari.

Lo straziante risiede in un’intervista di Daniele Raineri sul Foglio a Tooba Lefti, 34 anni, donna gigantesca in nome della quale avremmo il dovere minimo di risvegliarci dal nostro impaurito torpore. Ha organizzato un piccolo movimento di protesta, scende in strada appena può insieme con altre donne e con uomini che regolarmente vengono arrestati e rinchiusi in carceri di sicurezza. Per ora le donne ci si accontenta di rispedirle a casa. Ma il giorno dopo in strada ci tornano. Tooba e il suo gruppo si aspettano («assolutamente sì») che l’Europa e gli Stati Uniti continueranno a tendergli la mano, ben al di là delle stanchezze lessicali della smobilitazione democratica: dobbiamo offrirgli la più ampia solidarietà, ha detto non ricordo quale commissario dell’Ue, nella totale incapacità di andare le oltre le formule di circostanza che sono il metronomo della nostra vita pubblica.

La disillusione sarà tremenda. Qualcuno avrà detto a Tooba dello smarrimento dell’amministrazione americana – ma che cosa si aspettavano? – alla scoperta che il governo talebano è ricolmo di ceffi che gli stessi americani avevano arrestato e poi liberato per trattare il disimpegno militare? Saprà, Tooba, mentre chiede alle cancellerie occidentali di non riconoscere l’Emirato islamico afghano, del favoloso paradosso di una Casa Bianca determinata per assenza di alternative a dialogare coi talebani (non tutti dovrebbero godere dell’attenuante di essere Giuseppe Conte), e quindi a dialogare pure con Sirajuddin Haqqani, ministro dell’Interno, su cui l’Fbi ha posto una taglia da dieci milioni di dollari? Come dialoghi con uno che stai cercando dead or alive?

«I talebani sono gli stessi di vent’anni fa, solo il loro look è cambiato», dice Tooba con altrettanta sintetica precisione, e nessuna notizia proveniente da Kabul ha la forza di incrinarla. Le ultime disposizioni talebane vietano le manifestazioni illegali. Perché siano legali, i manifestanti devono concordarne con l’autorità il luogo, l’ora, l’oggetto della protesta e gli slogan che si intende impiegare. Traduzione: vietato manifestare, punto e basta. I giornalisti che documentano le manifestazioni finiscono in cella e scontano una dose di frustate. Mentre Washington e Bruxelles trasecolano all’assenza di donne nel governo, il governo dice che le donne non devono lavorare, devono stare a casa a fare figli. Non possono praticare sport perché è esibizione del corpo. Si vietano la musica, il cinema, le arti in generale, gli affari, gli abiti tradizionali devono riprendere il posto dei pantaloni e delle camicie occidentali, l’etnia pashtun riprende le vessazioni sugli hazara, su base razziale, anzi razzista, gli sequestrano il cibo riducendoli alla fame, giungono notizie confuse e non verificabili di occasionali stermini e regolari omicidi, infuria la fervente iconoclastia contro le statue di ogni nemico degli studenti coranici. I talebani sono gli stessi di vent’anni fa, solo noialtri perseveriamo nell’illusione.

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