Tra Conte e il premier Draghi c’è un telefono «rosso»: e la trattativa decolla

di Tommaso Labate

ROMA «Mario Draghi non ha alcuna colpa. La piega che ha preso finora la questione della riforma della giustizia non possiamo certo imputarla a lui. E questo è un aspetto della faccenda di cui dobbiamo tenere conto».

Quali saranno gli effetti nel medio e nel lungo periodo, ecco, questo lo si capirà col tempo. Ma nel breve periodo, e questo lo si percepirà con nettezza a partire da domani, l’evoluzione dei rapporti tra Giuseppe Conte e Mario Draghi, che c’è stata nelle ultime quarantotto ore al riparo da orecchie e sguardi indiscreti, è destinata a lasciare il segno.

Nel lungo fine settimana i due si sono sentiti più volte. L’unica telefonata la cui eco ha raggiunto l’esterno è quella di giovedì pomeriggio, poco prima che il Consiglio dei ministri autorizzasse la fiducia sulla riforma firmata dalla ministra Marta Cartabia e inserita dall’Europa tra le condizioni per finanziare il Piano nazionale di ripresa e resilienza con i soldi del Recovery plan. Poi, nella giornata di venerdì, a seguito delle dichiarazioni incendiarie di Fabiana Dadone sulla possibile uscita dal governo della delegazione M5S, il presidente del Consiglio e il suo predecessore si sono sentiti ancora. Una chiacchierata distensiva, in cui il leader in pectore del Movimento ha sminato il sentiero dalle minacce di resa dei conti, che infatti ha portato la ministra delle Politiche giovanili a correggere il tiro rispetto alla dichiarazione messa a verbale su RaiTre.

Sabato c’è stato un altro contatto. Non è dato sapere chi dei due abbia cercato l’altro; ma ieri mattina, parlandone con le persone più fidate, Conte si è abbandonato a un giudizio sul suo successore che ha sorpreso non poco i suoi interlocutori. «Draghi non ha alcuna colpa», ha risposto a quelli che gli chiedevano se l’accelerazione di un pezzo dei M5S verso la crisi di governo sulla giustizia avesse il suo sigillo. «La piega che ha preso finora la questione della riforma della giustizia non possiamo certo imputarla a lui. Semmai sono altri pezzi della maggioranza, dalla Lega a Italia viva passando per Forza Italia, che vogliono dare un colpo di spugna sulla prescrizione forse anche per metterci in difficoltà», ha aggiunto l’ex presidente del Consiglio. Che ha rimarcato a più riprese, anche per garantire l’ala governista guidata da Luigi Di Maio, che sarà impossibile non tener conto della parte in commedia del premier, considerato da Conte una colomba e non certo un falco, nell’evolversi della vicenda in Parlamento.

L’avvocato sa perfettamente che un pezzo significativo del gruppo parlamentare pentastellato, sul tema della durata dei processi, sarebbe pronto a spingersi oltre le colonne d’Ercole della crisi. E questo aspetto l’avrebbe sottolineato anche nel confronto con Draghi, che a sua volta avrebbe mostrato di aver colto la delicatezza della questione. «Vedi», è stata l’annotazione di Conte, i due negli ultimi tempi sono passati dal “lei” al “tu”, «non possiamo permettere che ci sia anche un solo processo di mafia che salta a causa della riforma». L’argomentazione, figlia dell’allarme di alcuni pezzi importanti della galassia della magistratura, a cominciare dal consigliere del Csm Giuseppe Cascini, ha un punto di caduta che per il Movimento è imprescindibile: per dare il via libera alla riforma, sono necessari degli accorgimenti tecnici che rendano evidente che sui processi, a cominciare da quelli di mafia, non ci sarà alcun colpo di spugna.

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