Intervista a Davigo: «Io indagato? Diedi i verbali di Amara a Ermini: né lui né Salvi mi dissero di denunciare»

di Luigi Ferrarella

L’ex consigliere Csm Piercamillo Davigo: «Ermini convenne sulla gravità, ma né lui né Salvi mi dissero di denunciare. E nessuno mi ha interrogato»

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Dottor Davigo, perché non avvisò in modo formale il Csm dell’asserita stasi investigativa della Procura di Milano sui verbali di Amara?
«Non si poteva in quel caso. Se la procedura da seguire non consente di mantenere il segreto, allora non si può seguire. Al Csm, nonostante le cautele adottate, vi era stata la dimostrazione pochi mesi prima sulla notizia dell’indagine perugina su Palamara. Nell’aprile 2020 Storari mi descrisse una situazione grave, e cioè che a quasi 4 mesi dalle dichiarazioni di Amara su un’associazione segreta i suoi capi non avevano ancora proceduto ad iscrizioni, che il codice invece richiede “immediatamente”. Per evitare possibili conseguenze disciplinari gli consigliai di mettere per iscritto. Pure se una Procura non crede a un dichiarante, non può sottrarre al controllo del gip la notizia di reato: deve iscriverla e poi chiede l’archiviazione. Storari mi diede file word del pc a supporto della memoria».

Cioè i verbali: non le pare distinzione di lana caprina?
«Lo può pensare chi trova rilevante il contenitore anziché il contenuto. A inizio maggio Storari mi disse che nulla era cambiato e anzi che Greco lo aveva rimproverato per la sollecitazione. A questo punto ritenni urgente avvisare il Csm. E informai il vicepresidente Ermini».

Solo a parole? O gli mostrò i verbali segretati? O glieli consegnò anche?
«In uno dei colloqui successivi glieli diedi, stampati, tutti quelli che avevo, “così li puoi consultare”. Anche perché venivano chiamati in causa consiglieri sia del Csm in carica sia del precedente. Ermini convenne sulla serietà e gravità della situazione».

Le disse che ne avrebbe parlato con il Quirinale?
«Preferisco qui non coinvolgere altre persone, ho riferito ai pm di Roma e Brescia».

Poi lei ne parlò anche con il pg della Cassazione, Salvi.
«Non mostrò alcuna sorpresa, segno che doveva essere stato già informato».

Gli disse che lei aveva i verbali? Glieli fece vedere?
«No, non me lo chiese. Ma nemmeno mi disse “No, guarda che così non va bene…”».

Il pg Salvi contesta nel disciplinare a Storari d’aver cercato di condizionare l’attività della Procura di Milano. Lei è in pensione, ma vale pure per lei, ed è accusa sanguinosa per un pm storico di Milano e Mani pulite.
«Quindi, se uno cerca di fare rispettare la legge, poi bisogna sentire il procuratore generale della Cassazione dire una cosa del genere che è fuori dal mondo? Nessuno si è sognato di dirmi di formalizzare. Non lo fece Ermini e non lo fece Salvi. Se mi avessero chiesto di formalizzare, avrei fatto subito una relazione di servizio. Salvi, se riteneva irregolare la procedura, essendo titolare dell’azione disciplinare e anche autorità giudiziaria e anche vertice della magistratura inquirente, poteva e doveva interrogarmi subito come persona informata sui fatti. Eppure non lo ha fatto, salvo poi prendersela con Storari. Se mai forse ho sbagliato io a illudermi che l’intervento del procuratore generale — cioè la telefonata a Greco, dopo la quale almeno fu iscritta a Milano la notizia di reato — potesse aver avviato a risoluzione la questione. La verità è che Storari in un Paese serio sarebbe destinatario di un encomio per aver cercato di fare rispettare la regola, invece è sconfortante sia sottoposto ad azione disciplinare».

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