Giovanni Maria Flick: “È un’ottima riforma ma non funzionerà i pm abbandonino lo spirito missionario”

GIUSEPPE SALVAGGIULO

«Se i superlativi in Italia non fossero abusati, direi che l’impianto della riforma penale mi pare molto positivo – dice Giovanni Maria Flick, docente e avvocato penalista, ex ministro della Giustizia e presidente emerito della Corte costituzionale -. L’unico rammarico è che in gran parte contiene cose che provammo a fare 23 anni fa – io ministro e Giorgio Lattanzi all’epoca direttore generale del ministero, lui che oggi ha contribuito a scriverla come collaboratore di Marta Cartabia. Allora fallimmo per indifferenza politica e ostilità della magistratura, speriamo che ora ce la facciano».

È ottimista?
«Demoralizzato e ragionevolmente perplesso dallo spettacolo, a volte sconcertante, in cui si muovono gli attori: politica, magistratura, avvocatura, mass media. Ma non dispero, anche perché mi pare che la ministra si stia muovendo molto bene sul piano della diplomazia». Quali sono i punti che motivano il suo giudizio positivo?
«Mi piace molto, fra l’altro, il rafforzamento del ruolo del giudice nel controllo del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari. Il rapporto tra queste due figure resta irrisolto: si pensi a quanto accaduto nell’inchiesta sul disastro della funivia del Mottarone. Evidentemente non si è ancora capito che è il giudice, e non il pubblico ministero, a emettere i provvedimenti sulla libertà personale».

La convince il tentativo di aumentare il filtro processuale nell’udienza preliminare?
«Finalmente si capovolge il criterio di valutazione del materiale raccolto nelle indagini: non si rinvia a giudizio per cercare le prove, ma solo quando di per sé sarebbero sufficienti per una condanna, se confermate in dibattimento».

Funzionerà?
«Solo se i magistrati non lo vanificheranno, perpetuando una tendenza perversa a considerare indagine e dibattimento un tutt’uno, senza soluzione di continuità».

I magistrati possono vanificare la riforma?
«Mi pare evidente, senza bisogno di citare Giolitti, per cui le leggi s’interpretano per gli amici e si applicano per i nemici. Ogni principio è interpretabile, dunque nessuna legge, nemmeno la migliore avrà efficacia senza un profondo cambiamento culturale. Della politica, dell’avvocatura, ma soprattutto della magistratura».

Quale?
«Bisogna uscire dalla stagione del panpenalismo, la dottrina per cui tutte le emergenze sociali vanno soddisfatte con nuovi reati, e del pancarcerismo, per cui il tema della sanzione penale si risolve nel carcere. E liberarsi dalla concezione della giustizia come missione».

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