Seconda dose vaccino Covid: eterologa o Astrazeneca? Come muoversi nella giungla dei richiami

C’è chi, ultra 60enne, di fronte alla prospettiva di assumere una seconda dose di vaccino diverso da quello già fatto, preferisce lasciar cadere e non presentarsi all’hub di riferimento. E c’è chi, sotto i 60 anni, è dilaniato dal dubbio: per il richiamo fare Pfizer al posto di AstraZeneca, oppure insistere con quest’ultimo?. C’è infine chi prenota e poi all’ultimo momento non si presenta perché è straconvinto che la prima iniezione sia più che sufficiente a proteggerlo dal rischio contagio. Il risultato, specialmente per le persone dai 60 anni in su, si vede negli ospedali: perché i nuovi pazienti Covid sono proprio i no vax, o coloro che il richiamo decidono di non farlo.

Ma cosa vuol dire, quanto a copertura dal virus e dalle conseguenze che genera, fermarsi a una dose di vaccino? Per Fausto Baldanti, virologo, responsabile del laboratorio di Virologia molecolare del San Matteo, “in questo caso il rischio è dietro l’angolo”. “Il perché lo dimostra l’Inghilterra, che ha vaccinato tutti lasciando passare sei mesi dalla prima alla seconda iniezione, e si è trovata a dover gestire un incremento importante di casi”. La copertura che la prima dose garantisce dal contagio è stimata intorno al 70% a tre settimane dall’inoculazione. “Questa è la stima, appunto, ma nella vita reale la percentuale potrebbe essere più bassa – spiega Baldanti – diciamo che la possibilità di contagio va dal 30 al 40%, e riguarda pressoché tutti i vaccini. L’unico che sembra dare protezione con una sola dose è Johnson & Johnson”.

Visto che, come conferma il mondo scientifico, “una sola dose di vaccino non è sufficiente a garantire la protezione totale dal contagio”, per stare tranquilli bisogna assolutamente puntare su due. “È solo con l’assunzione della seconda che tutti i parametri si raggruppano verso valori alti – assicura il virologo del San Matteo – senza contare il fatto che una vaccinazione non completata può favorire il proliferare delle varianti, soprattutto la Beta (ex Indiana), l’ultima arrivata, e veloce nel soppiantare anche l’Alpha (ex Inglese). Ma, va precisato, che in realtà la protezione totale non è raggiungibile perché non è una vaccinazione sterilizzata: circa l’1% di chi ha fatto due dosi si può infettare e 1 su 2.000 può essere contagioso. Quello che possiamo ottenere quando ci sottoponiamo al richiamo è di raggiungere una protezione del 95%”.

Per gli under 60, specialmente se di mezza età, che hanno sperimentato AstraZeneca perché fanno parte di categorie, come personale scolastico e forze dell’ordine, su cui prima il vaccino anglo-svedese veniva utilizzato in via preferenziale, si è aperto un dilemma difficile da risolvere su due piedi. Perché a loro viene consigliata la vaccinazione eterologa (due dosi diverse), ma di recente si sono visti aprire una nuova possibilità: tornare a fare AstraZeneca, assumendosene però la responsabilità. Allora che fare? Cosa accadrebbe se optassero per la eterologa? “Non c’è motivo per non immaginare che la risposta vaccinale non si possa raggiungere con due dosi di vaccino diverse – sottolinea Baldanti – resta un solo dubbio: gli effetti collaterali. È vero gli studi sull’argomento sono limitati, ma uno recente, pubblicato su Lancet, ha analizzato 800 persone vaccinate con quattro combinazioni di vaccino diverse: la prima AstraZeneca-Pfizer, la seconda Pfizer-AstraZeneca, la terza Pfizer-Pfizer, e la quarta AstraZeneca-AstraZeneca. Ed emerge che con le prime due combinazioni gli effetti collaterali aumentano. Perché, visto che le reazioni al vaccino sono normalmente più marcate dopo la prima iniezione e più blandi o inesistenti con la seconda, nel caso di assunzione di vaccini diversi, sarebbe come fare due volte la prima dose”.

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