Noi e il Covid, le illusioni che vanno scacciate

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di   Aldo Cazzullo

Il Daily News, quotidiano di New York, titola a caratteri cubitali: «It’s over», è finita. E anche molti di noi ne sono convinti. Stiamo cioè commettendo lo stesso errore di un anno fa, in questi stessi giorni: pensare che la pandemia sia un brutto ricordo, e che tutto possa ricominciare come prima. Purtroppo non è così. Lo confermano le notizie che arrivano da Londra, con i casi in aumento, la diffusione della variante indiana, il rinvio delle riaperture.

Intendiamoci: è giusto ricominciare a vivere. Tornare al cinema, a teatro, al ristorante. Recuperare quel gusto della socialità, quel calore delle relazioni umane che rende dolce la vita, in particolare in Italia, in particolare d’estate. Più che gli assembramenti, preoccupa la sensazione che si sta diffondendo: che ormai ne siamo fuori, e quindi non ha senso fare la seconda dose del vaccino, e iniettare la prima ai giovani.

Purtroppo non è così. Gli esperti possono anche essersi contraddetti in questi mesi, ma su un dato sono concordi: il vaccino serve. Eviterà che il virus torni a diffondersi tra qualche mese con la forza dell’autunno scorso. Protegge dalle varianti. Se anche non può immunizzarci al cento per cento, ci salva dalle forme più gravi della malattia, e quindi previene l’intasamento degli ospedali e il blocco del sistema sanitario, da cui deriverebbe l’esigenza di richiudere tutto. Eppure si continuano a enfatizzare i rischi.

Di un morto per il vaccino — evento funesto e doloroso, certo da non sottovalutare — si discute per settimane; le decine di morti al giorno per il Covid sono citate così, en passant, giusto per rimarcarne la diminuzione. Non è un atteggiamento un po’ schizofrenico?

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