Quando finirà? La domanda dei tempi bui

di MARCO BUTICCHI

L’infinità di un istante. Parrebbe un controsenso in termini, ma questa è la sensazione descritta da chi è scampato a una calamità naturale come un terremoto. Perché, nel tremore delle scosse, il tempo si dilata e la paura artiglia ogni secondo facendolo diventare eterno. Soprattutto perché non si sa quando mai finirà il terrore cieco della morte. Improvvisamente ci rendiamo conto che il nostro sospiro di sollievo potrebbe essere durato davvero il tempo di un sospiro e che quella cappa scura aleggia sempre minacciosa costringendoci a riprendere la guardia, ogni volta che l’abbiamo abbassata. 

Hanno incominciato con il pastrocchio della salvifica pozione e, siccome ce n’era d’avanzo, hanno pensato di chiamare all’adunata i nostri meravigliosi ragazzi per vedere se, passati indenni o quasi nella pandemia, sarebbero riusciti a sopravvivere anche a vaccinazioni inopportune. Adesso ricomincia la litania delle varianti e fosche previsioni dipingono una nuova difficilissima situazione autunnale in quel Regno Unito che, per primo, parve essersi scrollato di dosso la scure virale. Il sorriso di ritorno alla libertà che avevamo stampato in volto nella redenzione bianca delle nostre regioni si trasforma in un’espressione preoccupata che da troppo tempo disegna i nostri lineamenti: quando finirà? Viene da chiedersi. Se lo chiedevano anche i nostri vecchi quando, nell’assolata estate del 1915, valicavano le Dolomiti con le divise estive e le scarpe di cartone: quella stupida guerra – dicevano gli strateghi – non sarebbe durata oltre l’estate. Se lo chiedeva la gente scesa in strada l’otto settembre del ’43 convinta che un’altra guerra fosse finita.

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