Zingaretti: “Vinciamo in tutte e cinque le grandi città, Salvini e Meloni non risolvono i problemi”
Dunque, è soddisfatto del governo Draghi…
«Molto soddisfatto, il premier è una figura di garanzia in un processo
complicato come quello del Recovery Plan. Anche se la parte che mi
preoccupa di più, quella dell’attuazione delle riforme previste, deve
ancora arrivare. Ma si percepisce la fiducia da parte della comunità
internazionale».
Draghi assicura un’autorevolezza maggiore rispetto a Giuseppe Conte?
«Non bisogna dimenticare che è stato Conte a ottenere dall’Europa i
miliardi del Recovery e non era scontato. Se Draghi può gestirli è anche
grazie al lavoro di Conte».
Secondo lei, Conte è caduto per un complotto?
«Nessun complotto, magari in Italia ci fossero i poteri forti. Credo ci
sia stata una convergenza di opinioni e interessi, che hanno giudicato
conclusa una fase. Anche io volevo un rinnovamento nell’azione di
governo, fui promotore di una riunione tra i leader, poi qualcuno ha
spinto per un cambiamento più radicale».
Matteo Renzi. L’ha più sentito?
«Non ho avuto l’occasione».
C’è margine per riportare nel Pd quelli che sono usciti in questi anni, da Bersani a Speranza?
«Non devo rispondere io, ma bisogna creare gli assi portanti di una
visione del Paese, riaccendere la speranza nei giovani. Questa missione
richiede il superamento delle divisioni, con chiunque, abbandonando gli
schemini della vecchia politica, la deprimente discussione se vengano
prima i contenuti o le alleanze».
L’alleanza con il Movimento 5 stelle resta, però, l’asse portante per il Pd?
«Io governo con il M5s la seconda Regione italiana per Pil, in virtù di
un programma condiviso. Magari si arrivasse a questo punto, con chi ci
sta, a livello nazionale. Del resto, contrapposto a noi c’è un fronte
con tre forze molto diverse, cosa che non impedisce loro di presentarsi
insieme alle elezioni. E siccome si è deciso di puntare su un sistema
maggioritario, abbiamo il dovere di riorganizzare il nostro campo, su
una comune visione dell’Italia. Vedo una certa paura ad affrontare
questo tema ed Enrico Letta è stato molto coraggioso a dire che non ha
senso mettere in discussione questa impostazione».
Il Pd è ancora preda del correntismo esasperato che lei ha denunciato?
«Io penso che Enrico stia interpretando bene l’esigenza di rilanciare
un’iniziativa politica, fa bene a puntare su temi identitari come lo ius
soli o il voto ai sedicenni e, soprattutto, a tenere insieme i
contenuti con le forme per portarli avanti. Prima o poi, però, bisognerà
affrontare un tema che crea frizioni interne, quello della
redistribuzione della ricchezza».
Dica la verità, si è pentito di essersi dimesso da segretario?
«No, perché quelle dimissioni hanno portato il Pd fuori dall’angolo di
una discussione fratricida. Qualsiasi cosa dicessi veniva presa a
pretesto per fare polemica, anche la partecipazione a una trasmissione
tv, giudicata troppo popolare, con la puzza sotto il naso, poi ci dicono
che siamo il partito della Ztl. Era il sintomo di una battaglia
politica che aveva superato ogni limite».
E la candidatura a sindaco di Roma perché è saltata?
«Guardi, io mi candido a Roma da 14 anni consecutivi, non credo esista
un altro amministratore come me. Il mio imperativo era concludere la
stagione della pandemia alla guida della Regione, mi sarebbe dispiaciuto
lasciare un vuoto, abbiamo convenuto con il partito che fosse giusto
continuare. Per fortuna c’era la disponibilità di Gualtieri, ora da
romano confido che Roma volti pagina».
Virginia Raggi non merita la riconferma?
«Nulla di personale contro di lei, ma è sotto gli occhi di tutti, la
città è sfuggita di mano e va ripresa. Roma non può vivere solo di
manutenzione: abbiamo davanti a noi il Giubileo del 2025, dobbiamo
ospitare il più grande evento planetario dopo il Covid».
A Roma chi vince? Come vanno queste elezioni?
«Vinceremo noi, in tutte e cinque le grandi città. A Roma il centrodestra non ha proposte politiche».
Condivide
le proteste dei sindaci dopo la vicenda della prima cittadina di Crema,
indagata perché un bambino si è schiacciato la mano in una porta
dell’asilo?
«Condivido ed è un problema che riguarda un po’
tutti gli amministratori. Si è creato un eccessivo affastellamento di
norme, che rende praticamente impossibile avventurarsi nell’atto
amministrativo: come ha già detto qualcuno, se firmi rischi l’abuso
d’ufficio, se non firmi ti accusano di omissione di atti d’ufficio. È
necessario rivedere le norme, perché questa babele ci porta in una terra
di nessuno. Si finisce per colpire persone perbene, spesso intasando i
tribunali con processi che finiscono nel nulla, ma intanto distruggono
esseri umani».
A proposito, ha apprezzato Luigi Di Maio e la sua abiura della gogna mediatica sulle inchieste giudiziarie?
«Ho molto apprezzato, è stato un gesto di grande coraggio, che deve
avere un seguito nell’atteggiamento da tenere in futuro. Non si tratta
di favorire l’illegalità, ma di non dare per scontato che una persona
indagata sia colpevole».
In tema di responsabilità, meglio Arcuri o meglio Figliuolo come commissario all’emergenza Covid?
«Penso che Figliuolo ora possa fare un buon lavoro perché Arcuri lo
aveva impostato. Io ho lavorato bene con entrambi, il compito
dell’attuale commissario è diverso, per la campagna vaccinale prevede un
rapporto quotidiano con le Regioni, mentre Arcuri si è occupato
soprattutto del rapporto tra lo Stato e i fornitori».
Sulle vaccinazioni, il Lazio è una delle Regioni che corre di più…
«Abbiamo raccolto i frutti di 8 anni di lavoro sulla sanità. Ricordo
che la Regione era commissariata da 12 anni, con un disavanzo da 800
milioni all’anno. Abbiamo fatto grandi investimenti sul data center
regionale, che ora si vedono. Oggi nel Lazio abbiamo vaccinato più di
metà della popolazione adulta, siamo i primi in Italia nella fascia
degli over 60».
C’è un tema AstraZeneca per i giovani, in
teoria è un vaccino raccomandato dall’Aifa per chi ha più di 60 anni:
gli Astra Day che si stanno organizzando sono inopportuni?
«Credo sia giusto che queste discussioni vengano fatte nelle appropriate
sede scientifiche. Mi auguro che anche su questo punto sia fatta piena
luce, ma ci tengo a dire che il messaggio si è rivelato giusto, con una
bellissima risposta di tanti ragazzi e ragazze, pronti a vaccinarsi».
Al contrario di più di tre milioni di anziani sopra i 60 anni che non vogliono vaccinarsi…
«Non credo non vogliano, la maggioranza non è no vax, penso piuttosto
siano fasce di popolazione ai margini della società. Vanno stimolati e
raggiunti».
È arrivato il via libera del Parlamento europeo sul “green pass”, in Italia siamo in ritardo rispetto agli annunci?
«Qui da noi nel Lazio l’attestato di vaccinazione si può scaricare
online da diverse settimane. Il problema non è il ritardo in sé, ma è la
qualità dei data center sparsi nel Paese e di quello centrale che dovrà
produrre questo strumento».
Davvero nessuna nostalgia della politica nazionale?
«Non mi sento lontano dalla politica e non mi manca la passione. Con il mio lavoro sto aiutando il Paese a rimettersi in piedi».
LA STAMPA
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