Saman Abbas, le ultime ore secondo il fratello: «Uccisa dallo zio, penso l’abbia strangolata»

Di questo omicidio premeditato «ora vi dico tutta la verità. Mio zio Danish ha ucciso Saman. Ho paura di lui, perché mi ha detto che se io avessi rivelato ai carabinieri quanto successo, mi avrebbe ammazzato. Ho pensato anche di ucciderlo mentre dormiva, visto ciò che ha fatto. Ma poi ho pensato che sarei finito in prigione. Ed era meglio che intervenissero i carabinieri». Siamo in un giorno di metà maggio e il fratello sedicenne di Saman Abbas, davanti alla Procura minorile di Bologna, agli assistenti sociali e ai carabinieri reggiani, spiega come sia stata uccisa sua sorella (in un interrogatorio successivo ha poi raccontato anche del coinvolgimento nell’omicidio di due cugini, ndr). Qualche giorno prima, il 9, era stato fermato durante un controllo in provincia di Imperia. Tentava di scappare verso la Francia.

Nel centro protetto

Sprovvisto di documenti, era stato portato in una struttura d’accoglienza minorile. Dopo l’identificazione, le prime mezze ammissioni che hanno dato il via all’indagine per omicidio, «e notti agitatissime», è stato trasferito in un centro protetto. Il racconto agli investigatori di quanto accaduto nella campagna di Novellara, dove viveva tutto il folto clan degli Abbas, è sconvolgente. La mezzanotte del 1° maggio è passata da nove minuti. Questa è l’ora in cui Saman esce di casa, anzi scappa. Prima c’è stata una furibonda lite con il padre Shabbar, 46 anni, e la madre Nazia Shaheen, 47. La ragazza ha preteso i documenti rimasti in loro possesso dopo che, per essersi opposta al matrimonio combinato in Pakistan, i servizi sociali di Novellara l’hanno trasferita in un centro protetto. La carta d’identità le servirebbe per viaggiare, progettare una vita, magari proprio con il fidanzato, un connazionale ventunenne residente in Italia, con il quale in quegli istanti sta chattando, raccontandogli tutto — urla, parolacce — in «presa diretta».

L’arrivo dello zio

Danish «è arrivato da dietro le telecamere — è ancora il racconto del fratello — perché lui sapeva dov’erano posizionate». Giungendo «dalle serre», il ragazzo lo sente gridare ai genitori queste parole: «Andate in casa! Ora ci penso io». Il sedicenne è in «cucina, al pianterreno: e guardavo ciò che accadeva. Mio padre è rientrato a casa con lo zaino di Saman, quello di colore avorio che lei aveva sulle spalle quando è uscita». A questo punto lo zio ha detto «a mio padre di portarlo in casa e di nasconderlo senza farlo vedere alle telecamere». Una volta rientrato, Shabbar «si è sentito male e ha pianto». Impossibile opporsi alla ferocia dello zio, temuto da tutti gli Abbas: «Se mio papà avesse detto ai carabinieri quanto avvenuto, lui ci avrebbe uccisi». Come sia stata ammazzata Saman, Hasnain «a me non l’ha detto — prosegue il sedicenne —, non l’ha detto nemmeno quando è arrivato a casa. Se lo avesse fatto mio padre si sarebbe tolto la vita. Secondo me l’ha ammazzata strangolandola, perché quando è entrato non aveva nulla in mano». Successivamente, il ragazzo ha chiesto allo zio dove fosse stata seppellita la sorella «perché avrei voluto abbracciarla un’ultima volta». Ma lo Hasnain ha risposto di «non potermelo dire».

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