La “scure” del Papa: così cambia la legge della Chiesa

Francesco Boezi

“Tolleranza zero”, la linea che Papa Francesco persegue sin da principio, può significare pure inasprimento delle pene. Forse il tempo dilatato della pandemia ha contribuito a far sì che Jorge Mario Bergoglio potesse mettere mano alla vita ed alle regole della istituzione ecclesiastica e dei suoi dintorni, con tanto di sistema sanzionatorio. Il pontefice argentino non può ancora viaggiare troppo (al netto della eccezione irachena), dunque le energie possono essere concentrate nella riforma interna, che è anche riforma canonica.

Forse, oppure il vescovo di Roma sta portando avanti il suo disegno, prescindendo dal momento e dalla sua natura singolare. La Costituzione apostolica Pascite Gregem Dei ha riformato alcuni passaggi centrali del diritto canonico. Il principio, la ratio di base delle nuove disposizioni, pare quello di tenere la barra ferma, oltre che dritta. L’operazione nel suo complesso non è priva di portato culturale. Sul piano pratico invece Bergoglio lo aveva già detto: non avrebbe più tollerato certi comportamenti, dunque certi illeciti e reati. Capiamoci: la pastorale non è mai stata messa da parte, ma le cronache vaticane, come spesso capita con Francesco sul soglio di Pietro, hanno dovuto focalizzarsi quasi all’improvviso sull’interventismo normativo del Santo Padre. E non si tratta solo di un “segnale”.

Niente Sud globale o tutela delle periferie economico-esistenziali insomma. O meglio, sì, ma con una costanza alternata sul piano narrativo. Perché nelle intenzioni di Francesco sembra venuto il tempo di portare a compimento la sua “rivoluzione”, che non può che passare anche dal piano giuridico (con un occhio alla riorganizzazione della Curia che dovrebbe essere prossima). Riformando il libro VI del diritto canonico, il successore di Benedetto XVI ha apportato qualche novità sostanziale, introducendo la corruzione in atti di ufficio, l’amministrazione di sacramenti alle persone a cui è proibito amministrarli, l’occultamento di eventuali irregolarità all’autorità legittima e le censure sulla ricezione degli ordini sacri.

Non solo, verranno puniti pure: “…la violazione del segreto pontificio, l’omissione dell’obbligo di eseguire una sentenza o decreto penale, l’omissione dell’obbligo di dare notizia della commissione di un reato e l’abbandono illegittimo del ministero”. Sin qua, l’allargamento delle maglie delle fattispecie. A fare notizia, però, è stato quanto premesso, ossia l’inasprimento di alcune pene. Inasprimento è parola che abbiamo associato poche volte, durante tutto questo pontificato, al Papa della misericordia. Misericordia, però, non vuol dire sconti. E Papa Francesco, su questi aspetti, non si è mai guadagnato la fama di “buonista”. Dicevamo nuove fattispecie sì, ma anche nuove sanzioni:”…l’ammenda, il risarcimento del danno, la privazione di tutta o parte della remunerazione ecclesiastica, secondo i regolamenti stabiliti dalle singole Conferenze episcopali, fermo restando l’obbligo, nel caso la pena sia inflitta a un chierico, di provvedere che non gli manchi il necessario per un onesto sostentamento”.

Monsignor Iannone, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, ha posto uno degli accenti della presentazione su due elementi: la presunzione d’innocenza e il lavoro operato per far sì che i processi non siano infiniti. Anche il Vaticano, del resto, ha il suo bel da fare con la giustizia e con problemi che interessano pure il dibattito delle cronache politiche-legislative italiane, con tanto di tempistiche e principi cardine. Passiamo ai pluricitati inasprimenti: pedofilia ed abuso nei confronti di minori entrano a far parte dei crimini contro la dignità della persona. Sino a prima della riforma bergogliana, entrambe le fattispecie erano considerate reati per violazione degli obblighi della vita consacrata, così come evidenzia l’Agi.

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