Superuomini e no

By Mattia Feltri

L’ultima babilonia del Consiglio superiore della magistratura è difficile da decifrare, figuriamoci da spiegare. Ci provo, partendo da Piero Amara, questo mirabolante avvocato siciliano, un po’ pupo un po’ puparo, itinerante di cronaca in cronaca e di procura in procura, imputato qui, pentito là, talvolta condannato, testimone di ogni sulfureo sottoscala. Per dire: era la pietra angolare dell’ultimo processo milanese per le tangenti africane dell’Eni, concluso in assoluzioni sparse e diffuse dopo anni di indagini. In una chat di magistrati il procuratore capo, Francesco Greco, cercò di respingere le accuse di smania di sospetto, e un sostituto procuratore, Paolo Storari, gli rispose sprezzante: “Francesco, non ci prendere in giro”.

Ora si capisce meglio. Amara era capitato anche fra le grinfie di Storari a raccontargli di una loggia segreta (siamo irredimibili, anche lessicalmente) chiamata Ungheria di cui erano membri politici, magistrati, imprenditori, vertici delle forze dell’ordine dediti alla gestione di affari e carriere.  Fra di  loro – racconta Amara, la cui credibilità, meglio sottolinearlo, è come quella di una moneta di cioccolato – ci sarebbe pure Sebastiano Ardita, consigliere del Csm eletto nella corrente fondata con Piercamillo Davigo. Quando Storari è colto dal sospetto che la sua inchiesta non sia adeguatamente sostenuta dalla procura, va da Davigo e gli consegna dei verbali con le rivelazioni di Amara. Anche Davigo è nel Csm (ora non più, è in pensione), ma nel frattempo ha litigato con Ardita, e le loro strade correntizie di sono separate. Davigo non consegna i verbali al Csm perché, dice, sennò lo viene a sapere anche Ardita, e l’indagine va a farsi benedire. Ne parla invece con il vicepresidente David Ermini, che riferisce al Quirinale. Il Quirinale non conferma e non smentisce. Poi Davigo ne parla col procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, ma senza dargli copia dei verbali, e Salvi ne parla col procuratore di Milano, Francesco Greco, che lo rassicura.

Mi è evidente che non ci si capisca assolutamente nulla. Chiedo soltanto un ultimo sforzo. Perché qui entra in scena l’ex segretaria di Davigo, Marcella Contraffatto. Chissà perché chissà come, Contraffatto si ritrova fra le mani i verbali e, chissà perché chissà come, ne spedisce alcune copie ai giornali e una a Nino Di Matteo, già pm della trattiva Stato-mafia e nel frattempo lui pure salito al Csm. Dico chissà perché chissà come in un supremo sforzo di garantismo, per conservare il dubbio che Davigo non sapesse della corrispondenza della segretaria. Comunque, Di Matteo non si fa gli stessi scrupoli di Davigo, e parla dei verbali con Ardita. Poi li consegna al procuratore di Perugia, Raffaele Cantone (ex presidente dell’Autorità anticorruzione). Cantone sta indagando sul sistema Palamara, e infatti metà o due terzi dei nomi fin qui citati nell’articolo sono contenuti nel libro scritto da Luca Palamara con Alessandro Sallusti.

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