Il lavoro che cambia, il 65% dei bambini a scuola farà un lavoro che ancora non esiste

Giuliano Balestreri

Un milione di posti di lavoro spazzati via dal Covid, occupazione in picchiata e disoccupazione giovanile al 30%. «La pandemia ha accelerato un fenomeno già in corso» dice Fabio Costantini, chief operations officer di Randstad Hr Solutions che poi aggiunge: «Ai giovani che non lavorano si accompagna l’aumento di posti vacanti. Posizione che prima della pandemia riuscivamo a coprire. Oggi, invece, ci troviamo nella condizione di non trovare le persone adatte ai ruoli richiesti». Da una parte mancano le competenze dei lavoratori; dall’altra sono cambiate le esigenze delle imprese.

D’altra parte il World Economic Forum ormai lo ripete da qualche anno: il 65% dei bambini che oggi frequenta le scuole elementari farà lavori che ancora non esistono. Può sembrare un paradosso, ma qualcosa di simile è già accaduta una decina di anni fa, quando nessuno avrebbe mai pensato di diventare uno youtuber o un social media manager. La rivoluzione del Covid, però, sarà ancora più radicale. «I mestieri del futuro possiamo solo immaginarli, così come possiamo fare ipotesi sugli sviluppi delle nuove tecnologie, ma non possiamo prevedere quali strade prenderà il progresso. Per questo – prosegue il manager – dobbiamo avvicinare il mondo del lavoro a quello dell’istruzione. Educando le aziende a spiegare e raccontare quali siano le sue esigenze e investendo sulla formazione di queste persone».

Sulla stessa lunghezza d’onda Raffaella Cagliano, professoressa alla School of Management del Politecnico di Milano: «Sappiamo tutti che la digitalizzazione sarà fondamentale, ma non sappiamo ancora come cambierà il mondo. Abbiamo bisogno di insegnare alle persone come imparare e come reinventarsi. Dobbiamo pensare alla formazione come a un modello di apprendimento».

Di certo l’applicazione della tecnologia sarà crescente e trasversale a tutti i settori dall’agricoltura alla medicina, ma serviranno esperti di intelligenza artificiale e cyber security. Eppure ancora oggi non sono state potenziate a sufficienza le lauree STEM, ossia Science, Technology, Engineering e Math.

«Serve un filo conduttore nella vita dei lavoratori che determini quello che sanno fare e sul quale costruire i nuovi mestieri che si affacceranno» spiega Cagliano secondo cui la crisi aiuterà a estrarre più valore dalla persone anche perché la barriera tra «lavoro autonomo e dipendente, in conseguenza dello smart working sarà sempre più sottile».

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