Perché abbiamo smesso di ascoltare lo spirito della Costituzione

MASSIMO CACCIARI

Quale vittoria si celebra il 25 aprile? Non solo quella contro «invasori» che avevano scatenato una guerra che si potrebbe definire «ingiusta», secondo tutti i parametri dello ius belli fino ad allora, almeno a parole, condiviso. È anche la vittoria in una guerra civile, la più tremenda delle guerre e anche quella che più profondamente ne esprime l’essenza, quella in cui «si sa perché si uccide e chi si uccide: il lupo divora l’agnello,ma non lo odia; ma il lupo odia il lupo» (Henry de Montherlant).

Si celebra la vittoria in una guerra come questa a due condizioni – se queste non vengono comprese e rispettate non varrà il motto «guai ai vinti, vae victis», bensì il suo opposto: guai ai vincitori, «vae victoribus».

La prima è che sia la vittoria sulle ragioni che hanno portato al fraterno macello; non basta affermare quelle del vincitore; la giustizia fugge spesso e volentieri dal suo campo (Simone Weil); il vincitore deve con-vincere: mostrare che la sua vittoria ha davvero superato le cause di quell’odio. Solo un nato servo si riterrà vinto fino a quando si sente tale soltanto perché sopraffatto dalla forza del nemico. Ma nulla è più insicuro di una vittoria che si affidi alla naturale servitù dell’anima umana, poiché in quest’anima è altrettanto potente l’impeto alla libertà. E il vincitore è su questo che fa bene a contare, è per la vittoria di quest’impeto che deve con-vincere di aver lottato.

La seconda condizione, strettamente connessa alla prima, è che la vittoria in una guerra come questa celebri l’inizio della rigenerazione di un popolo. La guerra civile non consente mai di ritornare allo stato precedente, a differenza della guerra col nemico esterno, che può permetterne addirittura il rafforzamento. Nulla deve essere come prima dopo il bellum civile, il vincitore dovrà mostrarsi capace di superare l’intero sistema di relazioni politiche, economiche, culturali che lo aveva prodotto, e quindi, in qualche modo, anche di superare sé stesso. Ciò significa che se la guerra civile non è costituente, se essa non genera classi dirigenti nuove e un ethos comune in cui trovino radice gli stessi conflitti che inevitabilmente si generano nella «città dell’uomo», essa, alla fine, non si concluderà che con vincitori apparenti. La guerra civile o brucia ogni spirito conservatore e con quel fuoco illumina il futuro (è ancora Montherlant a parlare) o manca la propria unica giustificazione e non ne rimane che la faccia nefanda dell’odio tra fratelli.

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