Draghi pronto al compromesso: “Da metà maggio coprifuoco alle 23”

Ilario Lombardo

È vero, Mario Draghi non se lo aspettava. Non pensava che Matteo Salvini potesse arrivare a un centimetro dal Consiglio dei ministri con un preciso accordo e poi non onorarlo imponendo ai suoi ministri di astenersi dal votare il decreto sulle riaperture. Ma sta cominciando a prendere le misure delle oscillazioni del leader leghista e delle ragioni che stanno dietro alla sua irruenza politica. E così il giorno dopo lo strappo sul coprifuoco mantenuto alle 22 si fa trovare pronto e disponibile al compromesso, consapevole che finché non sarà lui il bersaglio delle critiche e delle accuse il suo pragmatismo non passerà come cedimento.

Il premier ha comunque fatto un passo indietro quando le Regioni hanno pesantemente accusato il governo di muoversi fuori dalla Costituzione per aver deciso «in contrasto con le posizioni concordate» di lasciare la scuola in presenza al 70% alle superiori. Il presidente del Consiglio ha sentito la ministra agli Affari Regionali Maria Stella Gelmini e insieme hanno concordato di concedere deroghe per arrivare, da subito, anche al 50%. Lo stesso ha fatto sul coprifuoco. È nella ragionevolezza dei numeri, sostiene Draghi, che va trovata la soluzione. Vaccini e contagi. Dunque è nei fatti che appena sarà possibile ci saranno modifiche al decreto e si aprirà ancora un po’. Tutto il resto, sostiene chi è vicino al premier, «è propaganda». La data che adesso è sulla bocca di tutti è lunedì 17 maggio. Sulla base dell’andamento epidemiologico che verrà fotografato venerdì 14 maggio si potrebbe spostare l’orario del coprifuoco alle 23. Ma andrà prima assorbito e analizzato l’effetto su due settimane delle aperture del prossimo lunedì: ristoranti e bar aperti all’esterno, cinema, teatri, mostre. Molta più gente si riverserà in strada aumentando le opportunità di assembramento. Se la curva non avrà picchi all’insù, visto anche il prevedibile aumento della popolazione vaccinata, l’alleggerimento delle restrizioni sarà conseguente. Fino a che punto, però, è tutto da vedere. Perché Salvini è già pronto a rilanciare sui ristoranti anche al chiuso prima di giugno.

La speranza del suo numero due Giancarlo Giorgetti è che però la prossima volta la decisione sia coordinata. Per indole Draghi ama scomporsi poco, anche se questa volta, il blitz di Salvini a pochi minuti dal Cdm lo ha irritato. Giorgetti invece si anima più facilmente e il racconto del suo sfogo fatto da diversi ministri è eloquente. «Se mi dici ok al decreto prima della cabina di regia, ok alla riunione prima del Cdm, poi non è che mi mandi così davanti a tutti a dire abbiamo cambiato idea…». A quanto pare, però, Giorgetti avrebbe confessato di aver ricevuto un altro ordine, ben più radicale. Salvini gli aveva detto di votare no, poi si è lasciato convincere a limitarsi all’astensione, altrimenti non avrebbe potuto evitare una rottura forse insanabile con il governo.

L’imbarazzo di Giorgetti è stato sotto gli occhi di tutti. Di Draghi, per primo. Il leghista non ha mai avuto paura a definire il premier un amico. Ci ha scherzato su tante volte quando l’ex banchiere centrale a Palazzo Chigi era ancora solo un’idea coccolata da tanti: «Non lo racconto troppo in giro perché sennò dicono che sono amico dei poteri forti», scherzava Giorgetti.

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