Letta torna contro venti e maree

Massimo Giannini

Contro venti e maree, si intitolava il penultimo saggio di Enrico Letta per il Mulino. Profetico, a suo modo. I venti che gli spireranno contro nel Pd saranno poderosi, nonostante l’unanimismo di facciata che i soliti cavalieri, congiurati e giullari di corte riservano sempre al sovrano alla vigilia dell’incoronazione. E le maree che gli si gonfieranno intorno nel Paese saranno insidiose, tra il populismo gentile di Conte e quello truce di Salvini. Ma se c’è una speranza, per ridare un’anima alla sinistra riformista e un’ancora alla democrazia italiana, lui la rappresenta. Letta segretario del partito dei progressisti è un altro esito del Big Bang politico innescato dall’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi. Una rivoluzione copernicana che ha scompaginato gli equilibri già precari del bipopulismo perfetto (o del tripolarismo imperfetto) nato con le elezioni del 2018. Sono implosi i Cinque Stelle, polverizzati in galassia e trascinati infine sulla Terra da un Grillo in casco da astronauta.

È tornata in orbita la Lega, depurata dalla sbornia al mojito del suo Capitano e rilanciata dal governismo di Giorgetti e dal pragmatismo dei cacicchi del Nord. Ed è esploso il Pd, distrutto non solo dal “poltronismo” esasperato che resiste, ma anche dal cupio dissolvi identitario che cresce. L’istantanea più plastica e più drammatica di quello che D’Alema a suo tempo definì “l’amalgama mal riuscito” l’ha fatta per primo Federico Geremicca, sul nostro giornale. In 14 anni il Pd ha cambiato 7 segretari. Di questi, solo 2 sono rimasti nella “ditta” (Franceschini e ora Zingaretti). Altri 3 hanno cambiato partito (Bersani, Epifani, Renzi). Altri 2 hanno cambiato mestiere (Veltroni, Martina). Basta questo a suggerire l’idea di una discreta bancarotta politica. Ma ovviamente c’è di più.

C’è un partito che, nell’eterna e destabilizzante transizione italiana, ha sempre pagato un prezzo troppo alto alla sua “volontà di governo”. Salvo due parentesi molto diverse tra loro (il Prodi post-ulivista del 2006-2008 e il Renzi neo-cesarista del 2014-2016) il Pd ha costantemente cercato di garantire la stabilità del sistema e la governabilità del Paese in momenti nei quali i risultati del voto non offrivano né l’una né l’altra.

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