Com’è dolce il bla bla di Salvini con il Draghi sovranista (europeo)

Da qualche settimana Matteo Salvini mi fa una simpatia cui non so resistere. Ha degli abboccamenti con le autorità sanmarinesi per ricavarne dettagli sullo Sputnik e va all’ambasciata indiana per accordi di fornitura più da diporto che prodromici (tra l’altro ottima idea, poiché l’India è una democrazia di snodo dell’Asia-Africa Growth Corridor, la risposta alla cinese Via della Seta), e tuttavia di queste giocose iniziative se ne raccontano sparuti dettagli e in pagine periferiche. Sarà che, mentre Salvini cerca il modo di occupare le sue giornate, Mario Draghi blocca nei magazzini di Anagni 250 mila dosi di Astrazeneca destinate all’Australia e impone all’Europa un atto politico anziché burocratico, e cioè l’applicazione di un regolamento sottoscritto a Bruxelles e da Bruxelles sempre trascurato. L’Unione, infatti, si riserva di impedire l’esportazione del vaccino a paesi non sommersi dall’emergenza pandemica (tale è l’Australia) soprattutto se si è inadempienti coi paesi comunitari (tale è Astrazeneca). E con un certo candore, erede diretto dell’imbelle spirito di Monaco, dalle capitali si commenta stupiti la mossa di Draghi: pensavamo che il regolamento bastasse come deterrente. Come no: nel frattempo qui le fiale continuano a non  arrivare  nelle quantità stabilite, mentre se ne spediscono ovunque, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, (dove, complimenti a loro, l’immunizzazione è a ottimo punto), da Singapore alla Repubblica Dominicana, dall’Arabia Saudita a Macao, dalla Nuova Zelanda a Hong Kong, per un totale di trenta destinazioni.

L’intervento di Draghi è stato chiamato protezionismo o sovranismo europeo, e lo si più chiamare come si preferisce, quella che conta è l’essenza e l’ha colta stamattina sulla Stampa quella principesca giornalista che è Francesca Sforza: è stata una risoluta affermazione di identità. E non significa prima gli europei, gli altri si arrangino, significa stabilire che l’Europa non è uno svalvolato accrocco di paesi a cui la si può allegramente fare sotto il naso, e per ottenere rispetto bisogna prima avere rispetto di sé. Ecco quanto fin qui ci è mancato: il rispetto di noi stessi.

Per tornare alla parte più provinciale dell’articolo, molti hanno intuito nelle fregole di Salvini il tentativo di riproporre lo schema adottato nel Conte I, quando il capo sovranista sovrapponeva le sue chiacchiere (e il suo bullismo anti migranti) alle chiacchiere del premier. E in effetti, chiacchiera contro chiacchiera, la chiacchiera di Salvini sbaragliava il campo. Però c’è una differenza: Conte non c’è più, c’è Draghi. E dunque ora è chiacchiera contro fatti, una partita molto squilibrata, e mentre uno va a prendere il tè in ambasciata, l’altro recupera 250 mila fiale e indica all’Europa la direzione giusta. Lo sottolineo perché qualcuno, anche dentro il Partito democratico, dove imperversa nebbia fitta, continua a vedere in Salvini l’azionista vincente del governo Draghi, e a me pare proprio l’opposto. Potrà gingillarsi finché gli pare con cuoricini a bacioni per l’allontanamento di Domenico Arcuri, ma lo ha allontanato Draghi. Potrà gingillarsi con l’avvio della produzione interna di vaccini, ma è una produzione interna europea, e l’ha avviata Draghi. Potrà gingillarsi con l’impiego dell’esercito nell’organizzazione della macchina vaccinale, ma l’ha impiegato Draghi (e poi, cara sinistra, l’idea che i militari siano di destra dovrebbe essersi indebolita dai tempi di Stalin o, se si vuole un esempio più inutilmente consolatorio e romantico, dall’iconografia del Che Guevara, e di Fidel Castro e dei barbudos in ingresso all’Avana). Mai visto Salvini tanto stretto all’angolo.

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