Il Papa in Iraq, l’ayatollah Al Sistani a Francesco: «Pace e sicurezza per i cristiani»



Francesco è il primo Papa in duemila anni ad arrivare nell’antica città sumera di Ur, poco distante dalla riva destra dell’Eufrate, la terra di Abramo. Nella piana dove sorge la ziggurat sumera, dopo il canto iniziale, si leggono le parole di Genesi 12 (il comando di Dio: «Il Signore disse ad Abramo: vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò») e un brano del Corano. Ed è un paradosso amaro, indicativo della situazione in Medio Oriente, che all’incontro interreligioso nella patria del «padre di tutti i credenti» – il patriarca dell’alleanza di Dio con Israele, cui risalgono anche cristianesimo e islam – non ci sia neanche un ebreo, tra musulmani, cristiani, yazidi, sebei mandei, rappresentanti dello zoroastrismo.

Ma papa Francesco, alla fine, parla a nome di tutti: «Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra». Il Papa ricorda che «nel mondo d’oggi, che spesso dimentica l’Altissimo o ne offre un’immagine distorta, i credenti sono chiamati a testimoniare la sua bontà, a mostrare la sua paternità mediante la loro fraternità». Qui sta il ruolo decisivo che le religioni possono avere, sillaba Francesco: «Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti. Non permettiamo che la luce del Cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio! Sopra questo Paese si sono addensate le nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza. Ne hanno sofferto tutte le comunità etniche e religiose».
Ancora una volta, Francesco richiama la persecuzione degli yazidi e di tutti coloro «che hanno subito tali sofferenze, quanti sono ancora dispersi e sequestrati, perché tornino presto alle loro case».

Domani andrà nella piana di Ninive, dove i cristiani vivono dall’età apostolica, duemila anni di presenza: Mosul, Qaraqosh, la piana di Ninive, le terre devastate dalla furia di Daesh dopo l’occupazione del 2014, centinaia di chiese e abitazioni distrutte, la lettera «nun» tracciata dagli uomini del Califfato sulle porte delle case a segnalare i «nazareni».

Così ora dice: «Preghiamo perché ovunque siano rispettate e riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa: sono diritti fondamentali, perché rendono l’uomo libero di contemplare il Cielo per il quale è stato creato. Il terrorismo, quando ha invaso il nord di questo caro Paese, ha barbaramente distrutto parte del suo meraviglioso patrimonio religioso, tra cui chiese, monasteri e luoghi di culto di varie comunità». Ma anche «in quel momento buio sono brillate delle stelle», fa notare: «Penso ai giovani volontari musulmani di Mosul, che hanno aiutato a risistemare chiese e monasteri, costruendo amicizie fraterne sulle macerie dell’odio, e a cristiani e musulmani che oggi restaurano insieme moschee e chiese». Si tratta di camminare come Abramo, insieme: «La pandemia ci ha fatto comprendere che nessuno si salva da solo. Il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia. Nelle tempeste che stiamo attraversando non ci salverà l’isolamento, non ci salveranno la corsa a rafforzare gli armamenti e ad erigere muri, che anzi ci renderanno sempre più distanti e arrabbiati. Non ci salverà l’idolatria del denaro, che rinchiude in se stessi e provoca voragini di disuguaglianza in cui l’umanità sprofonda. Non ci salverà il consumismo, che anestetizza la mente e paralizza il cuore. La via che il Cielo indica al nostro cammino è un’altra, è la via della pace».

Qui sta il punto, ripete Francesco: «Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità. Chiediamolo nella preghiera per tutto il Medio Oriente, penso in particolare alla vicina, martoriata Siria». Da dove cominciare, allora? «Dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia», scandisce il Papa. Di rado il suo tono è stato così solenne: «Il padre Abramo, egli che seppe sperare contro ogni speranza, ci incoraggia. Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta: troppi sono privi di pane, medicine, istruzione, diritti e dignità! Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad alimentare l’agio sfrenato di pochi. Sta a noi custodire la casa comune dai nostri intenti predatori. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa».

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