Zingaretti si dimette, ora rischia il patto Pd-M5S: Bonaccini pronto alla scalata

di Mario Ajello

Come fece Veltroni quando si dimise da segretario del Pd. Così fa anche Zingaretti: «Basta, mi avete stancato, me ne vado». E ai suoi assicura: «Non c’è possibilità che ci ripensi. E’ finita qui. Ho rianimato un partito che stava sparendo, ho vinto Europee e Regionali, ho fatto due governi e in cambio ricevo solo attacchi e insulti». Dice, il capo anzi ex capo del Nazareno, che «questa è una decisione irrevocabile» e nessun appello – già si stanno raccogliendo le firme per il «Nicola resta!» e già Franceschini ha twittato «tutti insieme per Zingaretti» ma molti nel Pd sospettano che si tratti di un «bacio di Giuda» – lo farà recedere dalla scelta. Ma chissà. La decisione è stata presa senza avvertire nessuno e piombata sul partito come un tornado o come una liberazione. Perché la ferocia della guerra interna stava assumendo, già da un po’, modalità mors tue vita mea e Zingaretti si sentiva dentro un bunker bombardato da tutte le parti. Anche quelle presunte amiche. 

Magari l’assemblea nazionale del 13 e 14 marzo riuscirà a stoppare l’addio. Ma lui tiene il punto: «Farò soltanto il presidente del Lazio. E non ci penso proprio a candidarmi sindaco di Roma». Punto. Quando si dimise Renzi, dopo il tracollo nel referendum costituzionale, andò così. L’assemblea nazionale come reggente scelse, da regolamento, il presidente del Pd, che era Orfini. Poi vennero indette le primarie per la segreteria. Stavolta, il problema è che la presidente del Pd, Valentina Cuppi, è da tutti considerata inadeguata, messa lì soltanto perché donna, come dicono soprattutto le sue compagne donne, una di quelle riserve emiliane (non è il caso di Bonaccini, come vedremo) su cui si può contare ma che non contano. Quindi? 

IL CAMBIO

Improbabile che toccherà alla Cuppi diventare reggente. Il tam tam di queste ore dice che toccherà al vicesegretario Orlando caricarsi la baracca e che a lui non dispiaccia affatto (non ne poteva più di fare il parafulmine per Zingaretti). E guarda caso, così ragionano i parenti serpenti, quando Orlando è diventato ministro del Lavoro con Draghi non ha voluto lasciare il ruolo di vicesegretario nonostante il pressing che lo invitava a farlo in favore dell’ascesa di una donna. Ma per passare da vicesegretario a reggente, Orlando deve essere votato dall’assemblea. 

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