Per i 5 Stelle una mutazione che non fermerà lo sfaldamento

di Massimo Franco

Per i 5 Stelle una mutazione che non fermerà lo sfaldamento

Giuseppe Conte, 56 anni, e Beppe Grillo, 72

Sembra sempre più probabile che un pezzo del Movimento Cinque Stelle stia passando all’opposizione. Né le promesse di «perdono» per gli espulsi, né l’istrionismo bolso di Beppe Grillo, e nemmeno la leadership virtuale di Giuseppe Conte sono in grado di fermarli. Finora prevale una dinamica che porta alla frammentazione. In nome della coerenza e della purezza di un tempo, e soprattutto sapendo di essere tagliati fuori da incarichi di governo, decine di grillini si ritroveranno accanto a Giorgia Meloni e ai suoi Fratelli d’Italia. La differenza è che il partito della destra può rivendicare di non essere passato da una maggioranza all’altra. Per i Cinque Stelle è l’opposto.

La spaccatura tra «governisti» e filiera antisistema è avvolta da ambiguità che hanno a che fare con i destini personali più che con le strategie. È indicativo che anche l’idea di ripescare Conte come capo, cucendogli addosso un nuovo statuto e un nuovo Movimento, non basti ad arginare l’emoraggia degli eletti, probabilmente parallela a quella di molti elettori. Che alla fine l’ex premier accetti o meno un ruolo nella speranza di non essere confinato in un cono d’ombra, si ritroverà un Movimento Cinque Stelle in pezzi. L’ala attratta dal movimentismo tipo quello di Alessandro Di Battista, così come molti nel drappello di chi è stato espulso, già dicono no a un ritorno nel Movimento. E qualcuno si prepara a una battaglia legale contro i provvedimenti del vertice dopo il mancato voto di fiducia a Draghi.

Per Grillo e i suoi progetti di revisione, tuttavia, il problema non sono solo i «ribelli». Si avvertono riserve corpose nella stessa maggioranza grillina che pure dice di appoggiare la cooptazione di Conte. Quando l’ex ministro Vincenzo Spadafora avverte che non può essere «solo un’operazione di comunicazione per coprire le nostre contraddizioni», manda un messaggio chiaro: a Grillo e all’«avvocato del popolo». E dietro di lui si intravede la sagoma del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, interprete del «governismo».

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