Contenuti a pagamento. Il primo passo dei giganti della Rete

di PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

Facebook riconoscerà agli editori di tutto il mondo la somma di un miliardo di dollari diluiti in tre anni (820 milioni di euro) per lo “sfruttamento” delle notizie prodotte da editori e giornalisti, e sul quale il social Usa guadagna miliardi. Qualche giorno fa Google e Murdoch avevano reso noto un accordo commerciale in base al quale al grande editore australiano venivano riconosciuti i “diritti” sulle notizie che Google rilanciava dai media di Murdoch. Nelle settimane scorse sempre Google aveva raggiunto un’intesa con gli editori francesi, anche in questo caso per poter «utilizzare» le news contenute nei giornali e nei siti d’oltralpe.

Al di là dell’aspetto commerciale (probabilmente 800 milioni di euro triennali a livello mondiale a fronte dei miliardi di guadagno realizzato ogni anno sono pochissimi, una briciola) la decisione di Facebook e Google riconosce un principio importante, non solo e non tanto per gli editori, quanto per tutti i cittadini: l’informazione di qualità, quella che non si trova a buon mercato gratis in giro per la rete, si paga, come si paga ogni bene di qualità. Poco o tanto, ma si paga. E nonostante gli stessi Google e Facebook siano pieni di notizie, spesso piratate, spesso dragate a casaccio nei bassifondi del web, sono le notizie “verificate”, quelle trattate professionalmente, che fanno la differenza per gli stessi social che le utilizzano, e che pertanto vale la pena per loro rilanciare e di conseguenza pagare agli editori.

Dopo anni di ubriacatura da fake news e di disprezzo per qualsiasi tipo di intermediazione (citofonare Movimento 5 Stelle), ci si sta in sostanza accorgendo che il grande mercato dei falsi in rete era un danno per tutti. Se ne stanno accorgendo i lettori, sempre più stanchi di essere trattati come pecoroni e diventati ormai sospettosi di informazioni buttate là a casaccio, in cui il cittadino-lettore è il vero obiettivo “commerciale” di qualche lupo nascosto nel bosco; se ne stanno accorgendo i big tech, che non a caso si sono decisi a pagare, perché la richiesta per le notizie di qualità aumenta il loro stesso giro d’affari.

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