Recovery, Draghi alla sfida della burocrazia: “Troppe norme, dobbiamo semplificare”

francesco grignetti

ROMA. La prima uscita del Draghi premier, incassata la fiducia delle Camere, è alla Corte dei Conti, dove si inaugura l’anno giudiziario alla presenza del Capo dello Stato. È un’occasione per affrontare da subito alcuni dei nodi che bloccano l’Italia e che lui vuole sciogliere. «Il controllo della Corte dei Conti deve essere efficiente e intransigente. E rapido. Perché le decisioni della Corte, quando intervengono lontane dagli atti sottoposti a controllo, pur se intransigenti, inevitabilmente perdono molta della loro efficacia».

Rapidità, ma anche efficienza. Intransigenza. Ci mette pure la trasparenza «che i governati richiedono ai governanti in ogni luogo. In democrazia è più difficile rispondere a questa doppia domanda, eppure lo Stato è chiamato a farlo, pena la perdita di fiducia verso le istituzioni, che fiacca la fiducia nel futuro». Tanto più in tempi di Covid.

Si comincia da qui, dunque. Dall’esigenza di spendere bene i miliardi europei. «Sta a chi governa fare le scelte strategiche, sta a chi amministra eseguirle in maniera efficace ed efficiente. E a chi controlla, verificare che le risorse siano impiegate correttamente». E il suo invito all’unità non si ferma alla politica. «Governo, Parlamento, Amministrazione Pubblica, Corte dei Conti e tutte le istituzioni del nostro Paese devono essere coprotagonisti di un percorso di rinascita economica e sociale. Le contrapposizioni sono un gioco a somma negativa, mentre la collaborazione produce effetti moltiplicatori».

Avverte, Draghi, che siamo a una svolta epocale. «Mai nella storia dell’Ue i governi avevano tassato i loro cittadini per dare il provento di questa tassazione ai cittadini di altri paesi dell’Unione. È avvenuto con i trasferimenti a fondo perduto stabiliti dal Next Generation. Si tratta di una straordinaria prova di fiducia reciproca che, se validata da scelte oneste ed efficaci, potrà un giorno sfociare nella creazione di un bilancio europeo comune da cui dovrebbero trarre maggior beneficio proprio i paesi più fragili dell’Unione».

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