Vaccino Covid: può essere obbligatorio

Non importa se il rischio viene dall’interno o dall’esterno, soprattutto nei casi in cui il datore di lavoro ha un dovere di sicurezza anche nei confronti degli utenti del servizio, come in ospedale o in una casa di cura. “Nel caso in cui il datore non richieda la vaccinazione ai propri medici e infermieri (cui pure sia data la possibilità di vaccinarsi), se dall’omissione deriverà la malattia di una persona, dipendente o paziente, l’azienda ne sarà evidentemente responsabile, allo stesso modo in cui lo sarebbe se il danno fosse derivato dal mancato rispetto di una qualsiasi altra misura di sicurezza suggerita dalla scienza, dalla tecnica e/o dall’esperienza”, spiega Ichino.

Ristoranti, trasporti, imprese

Il discorso non cambia se, invece di un ospedale o casa di cura, parliamo di un hotel, un ristorante o un mezzo di trasporto, dove gli utenti esposti al rischio del contagio, invece che pazienti, sono avventori o viaggiatori. “Ma non cambia neppure se si riferisce a un’impresa manifatturiera: anche in questo caso la responsabilità del datore di lavoro per la sicurezza di ciascuno dei dipendenti è la stessa che grava sul titolare dell’ospedale, della casa di cura, dell’albergo, o del servizio di trasporto”, sottolinea Ichino. E anche se parliamo di dipendenti pubblici, a cui anche si applica il Testo unico per la sicurezza sul lavoro.
Peraltro, la legge 27 del 2020 ha qualificato il rischio di infezione da Covid-19 come rischio di infortunio sul lavoro in ragione della sua elevata capacità di diffondersi in un ambiente chiuso, anche se c’è una sola persona portatrice del virus, e della gravità della malattia che causa: “con questa norma il legislatore ha, in sostanza, considerato il fatto stesso di lavorare in un’azienda insieme ad altre persone come causa tipica del rischio di infezione da Covid-19. Che è quanto basta perché di questo rischio il datore di lavoro debba farsi pienamente carico”, conclude il giurista.

Scuole e università

Dei contagi nelle scuole si fa un gran parlare. Insegnanti e operatori scolastici non sono fra le categorie prioritarie per la vaccinazione, a meno che non non siano “fragili” per via di malattie con cui convivono. Tuttavia, quando i vaccini saranno disponibili per tutti, possono essere obbligati a farlo? “Se la vaccinazione può essere richiesta dal datore di lavoro privato in funzione delle caratteristiche e i rischi della sua azienda, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2087 del Codice civile, la stessa cosa può certamente accadere nelle scuole e nelle università pubbliche”, spiega Ichino. Per le scuole statali tuttavia la direttiva deve arrivare dal Governo. Certo che la popolazione scolastica o universitaria è in gran parte formata dagli studenti, quindi per raggiungere in questi luoghi una percentuale adeguata di immunizzati bisognerebbe obbligare loro, come ha fatto la Legge Lorenzin per le vaccinazioni infantili. I vaccini a oggi autorizzati, però, non lo sono per i ragazzi sotto i 16 anni (Pfizer) e 18 anni (Moderna).

Lavoratori autonomi

Ci sono poi i lavoratori autonomi che svolgono un’attività a contatto con i clienti, come nel caso dei servizi alla persona, delle cure mediche o di quelle infermieristiche. “In assenza di una legge che stabilisca l’obbligo, potrebbero farlo gli ordini professionali”. Ma se non provvedono né il legislatore né gli ordini professionali? “Allora l’unico rimedio è che sia il singolo utente della prestazione professionale, se è convinto dell’utilità della vaccinazione per prevenire il diffondersi del contagio, a condizionare la prosecuzione della collaborazione alla certificazione dell’avvenuta vaccinazione, o quantomeno a una autodichiarazione del professionista o collaboratore”, risponde Ichino. Come dire: “se vuoi lavorare con me e per me, devi essere vaccinato; altrimenti ne cerco un altro”.

Cosa potrebbe comportare il rifiuto

Ci si può rifiutare per paura degli effetti collaterali? “Secondo me no. Come non è consentito a un muratore rifiutare le attrezzature e gli indumenti di sicurezza assegnatigli dall’azienda sostenendo che, a suo giudizio, essi sono inutili o addirittura lo espongono a un maggior pericolo”, spiega il giurista. In ultima analisi, il rifiuto alla vaccinazione potrebbe in linea teorica essere equiparato al rifiuto di una qualsiasi altra misura di sicurezza e quindi essere sanzionato anch’esso col licenziamento disciplinare. “Ma in questo momento storico non penso sia la strada migliore da perseguire; piuttosto si può cercare una soluzione in termini di smartworking, di collocazione del dipendente in una postazione isolata, oppure, quando nessuna di queste soluzioni sia praticabile, di sospensione dal lavoro fino a che la pandemia non sia cessata; senza retribuzione, perché l’impossibilità della prestazione è imputabile al rifiuto della persona interessata, quando esso non è giustificato”, conclude Ichino.

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