Le lande desolate delle toghe

Alessandro Sallusti

«Lande desolate» è il nome che di Nicola Gratteri, super procuratore di Catanzaro, magistrato star dell’antimafia, ha dato all’inchiesta che nel dicembre del 2018 aveva devastato il vertice politico della regione Calabria, dal governatore Mario Oliverio al vice presidente Nicola Adamo, entrambi del Pd, passando per la moglie di quest’ultimo, la deputata Enza Bruno Bossio.

A distanza di due anni di «desolante» resta solo l’operato dell’intoccabile Gratteri, le vite personali e politiche rovinate degli accusati e la manipolazione da parte della magistratura del regolare corso della democrazia. Due giorni fa i giudici hanno infatti assolto Oliverio e tutti gli imputati politici per «non aver commesso il fatto», tanto lacunose e infondate erano le accuse del super procuratore che si crede l’erede di Giovanni Falcone.

Ma ormai è andata: Oliverio, abbandonato dal suo partito, non ha potuto ricandidarsi alle elezioni poi vinte nel febbraio 2020 dal centrodestra con la povera Jole Santelli, morta dopo soli otto mesi di governo. E dire che Gratteri, annunciando la sua retata di eccellenti, aveva commentato: «Questa inchiesta dimostra il fallimento della ricostruzione della Calabria, che continua a essere, purtroppo ahinoi, l’Africa del Nord». E invece si è dimostrato che la Calabria è ancora Italia, Paese (a volte) fondato sul diritto e non sulla mania di protagonismo di magistrati e di giornalisti loro compiacenti. Tipo Marco Travaglio che su Oliverio aveva fatto una feroce campagna per convincere Zingaretti a cacciarlo dal partito. E tipo Sigfrido Ranucci che l’altra sera a Report su Raitre ha confezionato, a spese dei contribuenti, l’ennesima bufala sulla contiguità alla mafia di Silvio Berlusconi riproponendo tesi già ampiamente smentite dai fatti.

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