Terrorismo e «anni di piombo» Le ragioni di una rimozione

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di   Ernesto Galli della Loggia

Che cosa fu il terrorismo italiano? Che cosa accadde davvero nell’Italia negli «anni di piombo»? Sono queste le domande che pone libro di Mario Calabresi sull’assassinio di Carlo Saronio Quello che non ti dicono con la discussione che ne è nata anche in seguito a un’intervista con Aldo Cazzullo. Domande allora e poi rimaste almeno in certo senso senza risposta.

In verità di terrorismi, come si sa, in quegli anni ce ne furono due, uno nero e uno rosso. Ma del primo — tranne i suoi rapporti in parte tuttora oscuri con apparati deviati dei servizi di sicurezza, ciò che vale anche per l’altro — ormai sappiamo tutto quello quel che importa di sapere. E’ vero, su alcuni episodi anche gravissimi come l’attentato alla stazione di Bologna restano dei dubbi soprattutto circa eventuali collegamenti internazionali, ma in generale conosciamo i fatti e i nomi dei responsabili e dei loro referenti. Il terrorismo nero fu opera di gruppi di giovani militanti delle organizzazioni neofasciste e neonaziste e di alcuni loro capi, ma fatto salvo quanto ho detto sopra, dietro di esso socialmente c’era il nulla ed esso non ha lasciato nulla.

Cosa ben diversa fu il terrorismo rosso. Perché dietro il terrorismo rosso ci fu un ambiente. Ci furono infatuazioni intellettuali diffuse, collusioni personali in buon numero, e un frequente voltarsi di molte «persone normali» da un’altra parte per poter dire di non aver visto né sentito. Tutto di svolse come in un crescendo. Prima degli atti terroristici veri e propri, infatti, e a lungo intrecciata con essi, ci fu una vasta e dura violenza di strada. Auspicata, preparata ed esaltata dai gruppi dirigenti extraparlamentari di Potere operaio, Lotta continua, Avanguardia operaia, il Movimento studentesco. La violenza dei cortei con le spranghe, con i caschi e i passamontagna, con le molotov; la violenza del ritornello «basco nero, basco nero, il tuo posto è al cimitero» gridato contro i carabinieri. Rapidamente nei luoghi sociali più inaspettati la legalità sembrò divenuta un optional. Tutto ciò che appariva contestazione, rottura delle regole, eversione iconoclasta, venne divulgato dai cataloghi delle migliori case editrici, approvato da stuoli d’intellettuali influenti, predicato da cattedre autorevoli. La rivoluzione insomma assurse a fatto di moda, e come si sa una rivoluzione senza almeno un po’ di violenza non s’è mai vista.

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