“Serve un inverno freddissimo”. Perché il meteo può salvarci

Il Covid, quindi, non ama il freddo? Va in controtendenza rispetto a quanto si dice…

“Non ama il freddo come non ama il caldo eccessivo, preferisce la stagione mite”.

Se avessimo un inverno molto freddo, quindi, il virus circolerebbe di meno?

“Esatto, potrebbe circolare di meno e trasmettersi con meno frequenza ma ci sono due variabili che vanno tenute in considerazione: la prima è che può trasmettersi meno Sars-Cov-2 ma aumentano le influenze, che amano il freddo. Seconda cosa è che d’inverno, con il freddo, le persone stanno insieme in ambienti indoor contrariamente all’estate quando si sta maggiormente in ambienti esterni. Quindi, la trasmissione invernale è sfavorente dal punto di vista ecologico ma favorente dal punto di vista delle abitudini”.

Di cosa parla il vostro studio?

“I sieri che abbiamo analizzato sono stati raccolti dal luglio 2019 in poi: a luglio ed agosto erano tutti negativi, a fine settembre c’erano soltanto due persone positive mentre da ottobre in poi i numeri sono aumentati sempre di più. Da ottobre in poi ci sono dei cluster di soggetti che hanno anticorpi che si legano al virus del Sars-Cov-2. E sono conti che tornano anche con l’ipotesi epidemiologica”.

E quale sarebbe?

“Nelle acque reflue della Lombardia sono state trovate tracce di Coronavirus nel mese di dicembre, a Parigi una persona è morta di polmonite tra novembre e dicembre e, successivamente, nei suoi polmoni è stato trovato il virus Sars-Cov-2. Tutto questo taglia la testa al toro: ciò significa che, già in quel periodo, il virus circolava in Europa. È questa l’ipotesi epidemiologica ed il risultato è che, andando a cercare gli anticorpi, si trovano in una certa percentuale che aumenta nei mesi di dicembre, gennaio, febbraio mentre era completamente assente nei precedenti mesi di luglio, agosto e settembre”.

Perché all’inizio il virus non creava sintomi?

“Questa epidemia è come un iceberg: tutta la parte sott’acqua è la parte asintomatica. L’iceberg si è formato sugli asintomatici, finché è cresciuto in questo modo nessuno è stato in grado di dire che ci fosse un nuovo virus. Quando, nella massa degli asintomatici, sono iniziati ad uscire i primi casi, quindi la prima punta dell’iceberg, sono iniziate le prime diagnosi. Ma si era già creata una massa tale che trasmetteva l’infezione”.

Qual è la differenza con l’anno scorso?

“Le diagnosi si facevano soltanto a chi finiva in ospedale con sintomi. Infatti, si diceva che il tasso di mortalità fosse mostruoso ma soltanto perché non si facevano i tamponi agli asintomatici. Ecco perché prima si vedeva soltanto la punta dell’iceberg mentre adesso si vede tutto, anche quello che c’è sott’acqua”.

Perché all’inizio della pandemia non moriva nessuno?

“Faccio un esempio: se ad ottobre dell’anno scorso potevano esserci alcune migliaia di casi e soltanto una minima parte finiva in ospedale e moriva per polmonite atipica, veniva diagnostica così e basta. Quest’anno che si conosce il virus, invece, se ho milioni di casi ed alcuni centinaia finiscono negli ospedali, se tra questi ne muiono cento e cerco il Sars-Cov-2 lo trovo in tutti. In pratica, adesso vado a cercare quello che prima non si cercava”.

Perché ha iniziato a mietere vittime a fine febbraio 2020?

“Perchè c’erano già tantissimi casi, il virus ormai si conosceva. Non è escluso nemmeno, ma va dimostrato, che qualcosa sia successo davvero nel mercato di Wuhan nel dicembre 2019: magari il virus è andato incontro ad una mutazione che può averlo reso più infettivo e virulento, non è da escludere. Gli epidemiologi molecolari ci diranno cosa è avvenuto. Sarebbe interessante analizzare un virus isolato di ottobre/novembre 2019 e confrontare la sequenza genetica con quella di gennaio e con quella di oggi. Abbiamo già un’evidenza che la sequenza genetica odierna è un po’ diversa da quella di gennaio. Magari era mutato anche da quello di settembre”.

Alla fine dove si è generato? La Cina non è più il luogo dello spillover?

“Non sono in grado di dirlo ma con i dati scientifici che abbiamo a disposizione in questo momento nessuno può dirlo con esattezza. Ci vorrebbe un referto di un virus isolato da un paziente precedente rispetto a quello che si dice essere il caso zero, per capire realmente se il virus si è generato in Cina o se in Cina ha subìto soltanto una mutazione che lo ha reso più virulento e cattivo. Il nostro studio non aveva questo obiettivo: voleva aprire una porta su questo scenario e verificare che una parte della popolazione italiana avesse gli anticorpi contro il Coronavirus precedentemente alla circolazione. Si sono trovati, la domanda successiva è: come fanno ad averceli? I cinesi lo hanno isolato per primi ma non è detto che questo virus non circolasse già da prima. In qualche maniera si deve essere generato. Ma siamo certi che si creato davvero nel mercato di Wuhan? Il nostro studio apre una porta su questo interrogativo”.

Per concludere, ad oggi sappiamo chi ha portato il Coronavirus in Italia?

“Assolutamente no, ma non solo non sappiamo questo ma nemmeno chi lo ha portato in Cina”.

IL GIORNALE

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